“Mezzogiorno di fuoco di Fred Zinnemann”

Category: Argomentazioni in Primo Piano,

LA SETTIMA ARTE, Rubrica di Critica Cinematografica a cura di Rita Mascialino in 'Lunigiana Dantesca' CLSD Centro Lunigianese di Studi Danteschi

“MEZZOGIORNO DI FUOCO di Fred Zinnemann”

di  Rita Mascialino

  High Noon (1952) del regista austriaco Fred Zinnemann, sceneggiatura di Carl Foreman, in versione italiana Mezzogiorno di fuoco, è considerato a buona ragione il più grande film del genere western e anche uno tra i più grandi film della cinematografia mondiale. Prende spunto dal racconto di John M. Cunningham The Tin Star (1947), La stella di latta.

Ad introduzione dell’analisi segue una brevissima menzione delle più fondamentali coincidenze e differenze fra le due opere, necessaria visto il collegamento, la derivazione.

Ciò che sta nel racconto e anche nel film è soprattutto il fatto che lo sceriffo arresti un fuorilegge colpevole di omicidio, che questi non venga condannato a morte, come doveva essere secondo la legge dell’epoca e del luogo, e che ritorni poi – graziato dai giudici dopo appena cinque anni di carcere malgrado l’ergastolo comminato in sostituzione della pena capitale – per  vendicarsi uccidendo chi lo aveva arrestato. Altri particolari importanti presenti nelle due opere si riferiscono alla brutta figura che fanno i giudici, al senso del dovere dei due sceriffi, alla scarsa tutela delle forze dell’ordine da parte degli organi superiori.

Vediamo ora invece qualche cenno comparativo di alcune differenze rilevanti per il significato del messaggio insito nelle due opere. Lo sceriffo Doane, protagonista del racconto, è interessato alla sua successione da parte del suo agente Toby, da lui stimato come tale e come amico, quando dovrà lasciare la sua carica, mentre Kane, protagonista di Mezzogiorno di fuoco, non è interessato alla successione propria da parte del suo agente Harvey di cui non pare nutrire soverchia stima. Toby comunque, dopo essere stato a fianco di Doane nella lotta contro i banditi, assume la carica di sceriffo alla morte di questo, ossia continua la sua opera pur rischiosa e di scarsa soddisfazione, questo per rispetto dell’amico e maestro di cui malgrado la critica alla professione e alla Giustizia condivide i principi morali, carica che non voleva assumere prima della morte del suo capo durante la lotta contro i banditi. Al contrario Harvey si dimette proprio perché Kane non lo propone come suo successore e lascia solo Kane ad affrontare i banditi. Inoltre e in primis: la stella di latta, nel racconto, resta per qualche aspetto un simbolo valido di lotta ai criminali per il bene della società a prescindere dai giudici e dai vili, nel racconto dunque i valori positivi della legge vincono, seppure a fatica, su quelli negativi posti per altro molto in evidenza, mentre nel film la stella di latta viene buttata nella polvere da Kane con sommo disprezzo assieme ai valori che essa rappresenta, ossia Kane non è più disposto positivamente verso la cittadinanza come in precedenza. Infine e non da ultimo: nel racconto manca completamente la figura della moglie – Doane è vedovo –, che al contrario nel film è di centrale importanza, questo per menzionare solo alcune notevoli differenze tra le due opere.

Nel suo insieme il racconto di Cunningham non esce dall’orizzonte dello scontro tra i rappresentanti della legge e i fuorilegge e dall’acuta critica alla Giustizia, mentre il film di Zinnemann rappresenta diversi temi eccellenti, temi che sono rimasti di totale attualità nella società contemporanea, ossia di valenza universale per tutti i tempi fino ad oggi e con buona previsione anche per un lunghissimo futuro o per sempre, si tratta di temi che ineriscono alla natura dell’uomo e all’organizzazione della società pur sagomati secondo le varie culture nel succedersi delle epoche. Sul disprezzo finale di Kane per la carica di sceriffo torneremo ad analisi avanzata.

Preliminarmente, vogliamo occuparci della scelta dell’attore protagonista. Era stato contattato all’epoca tra gli altri John Wayne che non accettò in quanto in disaccordo con il messaggio contenuto nella sceneggiatura, probabilmente non comprendendolo del tutto. Fu scelto Gary Cooper, attore all’epoca non più al centro dell’attenzione e dei favori del pubblico e dei registi. Sia il rifiuto di John Wayne sia l’accettazione di Gary Cooper furono vantaggiosi per la riuscita del film. John Wayne, grande interprete dell’epopea americana del Far West, avrebbe dato un’altra personalità allo sceriffo, non proprio idonea alla sceneggiatura di Foreman e alla regia di Zinnemann. Sarebbe stato un duro eroico e superomistico, avrebbe creato un personaggio un po’ troppo sicuro di sé, comunque non adatto a chiedere aiuto con umiltà, ciò in linea con le sue figure macho nei suoi celebri western, dove impersona in generale l’uomo tutto d’un pezzo e senza paura. Fu interprete d’eccellenza Gary Cooper, Premio Oscar nel ruolo del marshal, per chiarire semplificando molto: lo sheriff del racconto è lo sceriffo della contea contrassegnato dalla stella a sei punte, il marshal del film è sceriffo della città contrassegnato dalla stella a cinque punte. Seppe impersonare il ruolo dell’uomo coraggioso, ma senza superomismi, questo in sintonia con le idee espresse nella sceneggiatura di Foreman alle direttive di Zinnemann, nonché e non da ultimo anche alquanto in sintonia con la propria personalità, disillusa all’epoca e lontana da attitudini eroiche, così compiendo il capolavoro che il mondo ha potuto conoscere.

Proseguendo nelle informazioni preliminari, non pochi vedono al centro del significato del film una presa di posizione contro il maccartismo, atteggiamento anticomunista ad oltranza realmente esistente nel dopoguerra in America, ma senz’altro non avente niente a che vedere con il significato del film. Il fatto che lo sceneggiatore Carl Foreman fosse sospettato di simpatie per il comunismo e in certo qual modo perseguitato per questo con richieste di testimonianze in tribunale e con interrogatori, non lascia nessun segno nella sua ottima sceneggiatura, dove non vi è alcuna caccia alle streghe o persecuzione di qualche personaggio. Manca nel film il fulcro del maccartismo, ossia una motivazione politica o comunque ideologica di persecuzione dello sceriffo o di altri e meno che mai vi sono simpatie più o meno esplicite o implicite per la sinistra, per il comunismo. E certo Kane non è perseguitato dai banditi: l’azione nella sua interezza comprensiva di premessa e di epilogo scoppia improvvisa e si svolge in breve senza che si possa instaurare alcuna persecuzione di nessun tipo. Il fatto che Miller prometta a Kane di ucciderlo in quanto sia sicuro che non gli daranno la pena di morte non è ancora una persecuzione e il fatto che gli amici di Kane siano nella quasi totalità sfruttatori della generosità e onestà di Kane e che questo alla fine disprezzi la Giustizia e la società umana, è un motivo che fa piuttosto comunemente parte della parabola esistenziale umana, non è contrassegno distintivo del maccartismo. Quest’ultimo, anche sul piano semantico eventualmente più lato ed elastico, ha bisogno di riferirsi a persecuzioni da parte di uno o l’altro potere di Stato per poter essere coerentemente tirato in ballo. Ribadendo: vedere nel rifiuto di aiuto da parte degli amici di Kane un comportamento simile a quello dei falsi amici nell’epoca del maccartismo, è dare al maccartismo un’esclusiva che non ha e una presenza che non ha in nessun luogo nel testo filmico – testo in senso esteso, semiotico. Che Zinnemann, Foreman, Cooper stesso e altri fossero contro il maccartismo, può essere senz’altro vero, ma questo non ha influito sul significato che è stato dato al film il quale prescinde dal maccartismo e comunque lo supera. In altri termini, l’interpretazione di High Noon in chiave maccartista non trova, molto onestamente e semplicemente parlando, nessuna base nell’opera a nessun livello sia questo iconico o dialogico o di trama o magari di testo della canzone. Credo pertanto di poter asserire sulla base dell’analisi di quanto sta nel film che tale interpretazione sia dovuta alla consuetudine di utilizzare circostanze scelte dal contesto storico – infinito in sé per altro come secondo lo studioso statunitense Jonathan Culler – e biografico per spiegare in tutti i casi, non solo quando è indispensabile, il significato del film, dell’opera d’arte, ciò che comunque resta un errore teorico e metodologico, un letto di Procuste da gestire a piacere del proprietario. Gli agganci in questione esistono sempre  in più o meno ampia ed esplicita misura, ma mai possono essi spiegare il significato di un’opera letteraria, artistica, per attingere il quale ci vuole ben altro che qualche spunto tratto da qualche evento storico o biografico o culturale in generale tra gli infiniti esistenti. A causa di questa piuttosto sbrigativa e spesso semplicistica consuetudine la semantica dell’opera d’arte può essere offuscata e deformata: si va dall’opera d’arte, che riflette la visione del mondo e la personalità dell’artista, al contesto storico, non dal contesto storico all’opera d’arte. È un percorso difficile, ma è l’unico idoneo qualora si voglia comprendere in profondità  il significato dell’opera d’arte.

Venendo ora propriamente all’analisi critica di quanto sta nel film, saranno identificati in questo studio solo i tratti più importanti del significato del messaggio, tralasciando particolari pure interessanti, comunque meno rilevanti.

Iniziando con un paio di considerazioni strutturali, il film risulta molto evidentemente essere costruito sullo schema delle tre unità aristoteliche connotative della tragedia greca. L’aderenza alle tre unità, molto stretta nel film, si riferisce all’intenzione di esaltare l’azione e di non diluirne la suspense. L’unità di tempo si riferisce alla scarsa ora e mezza utile allo svolgimento reale dell’azione, un tempo posto per così dire in primo piano nella vicenda, scandito dalla ricorrente inquadratura oggettiva del grande orologio a pendolo e spesso anche soggettiva, guidata dallo sguardo del protagonista e dei personaggi, anche dall’inquadratura di sfondo di orologi più piccoli nelle abitazioni, quasi una costante e anche ossessiva memoria del tempo che trascorre, una enfatizzazione del flusso dinamico inarrestabile delle azioni. L’unità di luogo si riferisce alla via principale del paese con qualche limitata visione di interno che vi si affaccia – le persone si trovano spesso in mezzo alla strada o ai margini della strada, sull’uscio di casa o del luogo dove svolgono un’attività e in ogni caso uno scorcio della strada è sempre in vista, anche solo per pochi secondi, dalle finestre o dalle porte degli abitati. L’unità di azione si riferisce al ripetuto percorrere in lungo e in largo della strada da parte dello sceriffo per chiedere aiuto ai suoi amici, o a quelli che credeva tali, fino allo scontro finale sulla strada tra questo e i quattro banditi. Non vi sono azioni secondarie importanti ad interrompere lo schema dell’azione fondamentale su cui si costruisce il film. Certo, le tre unità di aristotelica derivazione sono di immediato riscontro e raffronto storico-culturale, ma non si può trascurare il dato di fatto tipico della mente spaziale produttrice della lingua madre di Alfred Zinnemann, il tedesco, in altri termini: lo schematismo logico e spaziale nella rappresentazione del reale che prima ancora che nelle unità aristoteliche sta appunto nella natura  della lingua tedesca.

Il film fu girato in bianco e nero come scelta del regista che pare abbia avuto ragione nel non volere per il messaggio contenuto nella sua opera il technicolor. Come l’osservanza delle tre citate unità esalta la schematicità dell’azione non indebolita dalla presenza di digressioni più o meno importanti, il bianco e nero fa emergere incisivamente lo scheletro delle immagini e dei moti rappresentati nel contrasto del nero con il bianco e con una limitata gamma dei grigi e con esso lo scheletro del significato del messaggio espresso nell’opera. Per fare un solo esempio tra i molti possibili: il fugace quanto indimenticabile primo piano di Gary Cooper-Kane provvisto dell’inseparabile cappello storico tipico dell’epopea farwestiana, nero sullo sfondo del cielo quasi bianco, mentre cammina eretto e a testa alta in strada al suono extradiegetico del pianoforte caratteristico del saloon, enfatizza proprio grazie al bianco e nero l’immagine a tutto schermo agevolando il colpo d’occhio. Nell’inquadratura del primo piano appunto il bianco e nero fa in pieno la sua parte semantica in qualità di disegno della spazialità dinamica (Mascialino 1997 e segg.) propria del significato dell’immagine che in tale cromia si staglia più nettamente: non ci sono frammentazioni e distrazioni dovute alla presenza del colore a confondere eventualmente la sintesi semantica. Un po’ come per i progetti edili che nella generalità dei casi vengono eseguiti con inchiostri neri o matite nere su carta bianca e  non a colori, questo per un motivo di evidenza e di più immediata comprensione delle strutture rappresentate.

Qualcuno ha visto nel personaggio la presenza di superomismo, ma l’opinione non regge all’analisi, come andiamo a vedere. Prendendo l’inquadratura testé citata, la ripresa dal basso fa apparire il volto di Kane sovrastante tutto e  tutti, quasi sospeso in aria tanto in alto appare e con lo sguardo apparentemente volto all’orizzonte più lontano, non puntato sugli oggetti della quotidianità. In questo primo piano Kane ha quasi la spazialità di un gigante che stia in alto sugli altri uomini non avendo niente da spartire con la massa cui non appartiene come categoria dello spirito, massa che sta in un fuori campo implicitamente relativo al suolo, in basso. Conferma questa interpretazione della collocazione della massa ad esempio il comportamento dei credenti, che non intervengono ad aiutare Kane: quando sono in chiesa e decidono di tirarsi tutti indietro lasciandolo solo ad affrontare i quattro banditi, vengono inquadrati mentre abbassano e tengono tutti molto visibilmente la testa bassa guardando al suolo con gli occhi quasi chiusi, come se si vergognassero di se stessi  e come se fossero consapevoli che ad essi appartenga la misura del basso. Nel caso Kane sembrerebbe avere dunque almeno qualche connotazione del superuomo, ribadendo: domina dall’alto lo spazio, quindi in posizione di superiorità rispetto alla massa che è relegata al basso. Per altro Kane dichiara esplicitamente alla moglie di non  essere e di non voler fare l’eroe, ma di essere costretto ad affrontare il nemico per non dover fuggire tutta la vita. Ma al di là delle dichiarazioni di Kane, che potrebbero anche non corrispondere al vero, c’è un fatto che elimina tale interpretazione eroica e superomistica: il cosiddetto o eventuale superuomo di Zinnemann nel contesto filmico, in una punta della più corrosiva ironia, più tattica che retorica a quanto si evince dall’errato giudizio di superomismo assegnato da alcuni critici, è solo un uomo onesto dotato di senso di responsabilità e volontà di affrontare gli eventi non solo per salvare se stesso da una morte che si prospetta sicura, ma anche, se non soprattutto, per essere ancora di utilità alla comunità della sua città. Al proposito subito dopo le nozze, quando si toglie la stella, afferma come gli dispiaccia di dare le dimissioni prima che sia arrivato il nuovo sceriffo, ossia di lasciare la città priva di protezione per una mezza giornata. La stessa Helen Ramirez, proprietaria del Ramirez Saloon, che se ne va da Hadleyville quando sa dell’arrivo del bandito Frank, suo uomo prima di Kane, dice di non farlo per paura della reazione Frank, ma in quanto dopo la morte di Kane, che anch’essa ritiene evento ormai sicuro, il paese non varrà più nulla essendo privo di un uomo giusto al comando e cadrà quindi in mano ai disonesti. Non superuomo, ma uomo onesto e leale sì, capace di fare il suo dovere verso la cittadinanza. L’onestà e il senso di responsabilità fanno di Kane per così dire un superuomo data la rara presenza di queste doti nell’uomo in generale, doti che possono o dovrebbero essere del tutto comuni, non di uomini eccezionali. Così nell’ottica di disprezzo di Zinnemann verso un’umanità che si mostra  pusillanime e disonesta – viene detto più volte nel film come il delinquente Frank Miller abbia molti amici in città ed anzi l’albergatore fa preparare e pulire una stanza per lui nel modo più accurato considerandolo un ospite di lusso e addirittura raffinato, ciò che evidenzia il rispetto dell’uomo comune per il criminale e anche la sua alleanza con la delinquenza per via degli eventuali vantaggi che ne può ricavare. Non gesta eroiche dunque o disprezzo di natura intellettuale o filosofica per la massa, né presunta superiorità rispetto agli uomini comuni, ma normali azioni di un uomo onesto e responsabile, senz’altro coraggioso come si dice più volte nel film anche da parte dei suoi nemici che in ogni caso conoscono e riconoscono il valore di Kane e nel profondo della loro personalità lo invidiano, coraggioso appunto, ma non eroico, non un superman per intenderci. Ancora un esempio della lontananza di Kane da ogni superomismo ed eroicità: al giudice che fugge per non rischiare l’incontro con Frank Miller e che gli dice come Hadleyville sia un luogo sconosciuto a tutti e privo di importanza, per cui le eventuali azioni anche valorose lì compiute non contino nulla, Kane risponde non negando la verità delle parole del giudice, ma dicendo che ormai sia troppo tardi per fuggire, di nuovo ribadendo implicitamente come il fare l’eroe o il superuomo non sia nei suoi piani di vita.

Soffermandoci ancora sulla citata inquadratura del primo piano, sorge una domanda: perché accompagnare il passo del protagonista con una musica extradiegetica – Kane non la sente, fa parte della colonna sonora –, allegra e dal ritmo scattante quando l’atmosfera psicologica dello stesso non può che essere ed è greve come mostra anche l’espressione seria e preoccupata del volto? La musica della taverna western nel contesto, per quanto straniante possa apparire di primo acchito nell’inquadratura in questione, non è assurda, ha la sua ragione di essere. Dal lato di più immediata evidenza tale accompagnamento musicale esplicita e sottolinea l’ambientazione western della vicenda, la presenza del saloon nello scenario cittadino. Da un lato di meno immediata evidenza  in un contesto più ampio di inquadrature e sequenze esso sottolinea come l’interiorità del personaggio subisca un altalenarsi di stati psicologici opposti corrispondenti alla battaglia di idee che si combatte nella sua mente e nello specifico qualifichi lo stato interiore relativo ad un ritmo vitale che non si lascia deprimere, pur essendo consapevole l’uomo di una situazione che non sta andando a proprio vantaggio. Tale colonna sonora viene sostituita ben presto dall’aria malinconica della canzone Leitmotiv musicale del film, ciò a indicare l’affiorare della demoralizzazione in Kane quando questo si dirige verso la stalla con la mezza idea, per quanto solo momentanea, di fuggire a cavallo. Al proposito, per fare un ulteriore esempio relativo alla colonna sonora, quando Kane sta decidendo di fermare la carrozza e di tornare indietro nel paese per affrontare i fuorilegge, i suoni della colonna sonora divengono più lenti e in qualche misura stonati come lo sono i ritmi intrinseci alla frenata, non perfettamente a tempo e armoniosi, ma anche in parallelo alla sofferta decisione di Kane di non fuggire – di non correre come nel testo originale – e di affrontare invece  i nemici.

Nell’incontro del protagonista nella stalla con Harvey che lo ha visto dal saloon e lo segue intuendo le sue intenzioni di fuga a cavallo, Harvey gli sella il cavallo perché possa fuggire, come afferma: non piacerebbe a nessuno vederlo ucciso, ma non è proprio così. In realtà Harvey invidia a morte lo sceriffo che Helen Ramirez, la sua donna al momento, considera un vero uomo a differenza di lui stesso, provvisto di gioventù e muscoli, ma di poco cervello e personalità, per questo disprezzato esplicitamente dalla donna in sguardi, atteggiamenti, parole e toni – sulla voce un po’ sorprendente  di Katy Jurado torneremo fra poco. Per invidia dunque Harvey vorrebbe togliergli l’immagine poderosa che Kane si è conquistato nella vita. Vorrebbe persuaderlo a fuggire, a tirarsi indietro per smantellare la sua identità e renderlo uguale agli altri, ai codardi, ai traditori come lui, ma Kane non ci sta e abbandona l’idea passeggera di fuggire. Harvey chiede a Kane perché si ostini a voler rimanere e questo risponde che non lo sa e che è più forte di lui, affermazione dal significato molto interessante, al di là del significato che gli dà l’ovvietà che lo rende un luogo comune. Possono avere senso una motivazione e una decisione non comprese? La motivazione della sua volontà di affrontare i banditi, che Kane dice più di una volta nel film di non conoscere e alla quale comunque si adegua, trova il suo senso nello schema comportamentale di base di Kane che sta nel suo inconscio. Per chiarire: ciò che è inconscio in Kane al proposito, vista  la visione del mondo in cui la sua volontà di restare si fa sentire così potentemente, non è altro che la verità più profonda e insuperabile della sua personalità. Detto solo tra parentesi e come possibilità debole ma non del tutto eliminabile, lo sceriffo si chiama Will, che in inglese significa volontà, volere, e il suo cognome scritto con la c, ossia cane,  significa bastone, sia di sostegno che come arma, un po’ come se lo sceriffo volesse un bastone: il sostegno di cui avrebbe avuto bisogno e che non ha avuto, la verga per sostenersi da solo, ma anche per affrontare i nemici, soprattutto per bastonare metaforicamente i cittadini ingrati e la Giustizia con il suo manifesto disprezzo finale. Il suo inconscio gli dà la risposta che appare coerente con l’immagine interiore di sé che si è venuta formando nel senso del dovere e dell’onore, anche a insaputa di Kane stesso, immagine che si impone su qualsiasi considerazione non rientrante nello schema in questione, senza con ciò partecipare di alcun eroismo, di alcun superomismo, ma solo del rispetto di sé.

Una parola, come più sopra annunciato, sulla voce di Katy Jurado nella parte di Helen Ramirez per come si sente nel testo originale inglese. Di primo acchito essa risulta non poco straniante: una voce bassa e a dire il vero sgradevole soprattutto nell’intonazione, in pieno contrasto con la morbida bellezza della donna, tanto è vero che nel doppiaggio italiano è stata data una gradevole voce in regola con la norma femminile. Forse la scelta dell’attrice non ha tenuto conto della voce, in ogni caso essa è in sintonia con la sua mancanza di paura di fronte a uomini come Frank Miller e anche come Harvey Pell. Helen Ramirez ha il carattere di una donna avvezza a badare a se stessa in un mondo di maschi più o meno pericolosi ed in ciò rappresenta un modello femminile meno sottomesso, una donna dall’aspetto attraente, ma dalla sostanza ben più dura come, casualmente o no e più probabilmente no, la sua voce comunque felicemente manifesta.

Vale ora la pena di soffermarsi in dettaglio sulle immagini che fungono da sfondo ai titoli di testa, le quali presentano i tre banditi intenzionati ad attendere il loro capo alla stazione ferroviaria di Hadleyville per portare a termine la vendetta con l’uccisione di Kane. Il paesaggio è quello della campagna, della prateria con rocce e pochi alberi, priva di vie di comunicazione vere e proprie per calessi e carrozze, priva all’apparenza di insediamenti civili dell’uomo – nessuna strada nel paesaggio conduce in qualche luogo e proviene da qualche luogo, non appare alcuna coltivazione del terreno. Ciò si collega molto direttamente con l’essere i banditi fuori dai ranghi sociali e quasi usciti dalla montagna all’orizzonte, da una natura selvatica – per altro i loro abiti mostrano molto visibilmente macchie di polvere ovunque, tessuti lisi e privi di cura qualsiasi, in corrispondenza al loro stato interiore altrettanto logoro e sporco. I binari stessi per come si vedono al casello ferroviario sembrano provenire come dall’oscuro ventre della montagna, come una tecnologia senza cuore umano ed è lì che i banditi attendono il loro capo. Diversamente Kane e la moglie non lasciano il paese né a dorso di cavallo – da sottolineare il fatto che Kane caso mai fuggirebbe a cavallo –, né in treno come potrebbero molto semplicemente a cose fatte, ma alla guida di una carrozza scoperta in una strada sterrata che unisce Hadleyville ad altri centri abitati, civili. Questa differenza fra carrozza e treno non basta certo a fare parte come di fatto non fa parte di una visione della vita contro la tecnologia, il progresso, Zinnemann anzi esalta in tutto il film la dinamicità delle azioni, la rapidità delle ruote come congegni base dell’avanzamento e in tal senso metafora del progresso, ma mette tuttavia in rilievo proprio con il parallelo contrastivo di carrozza e treno i pericoli di disumanizzazione insiti nell’industrializzazione che tanto interessa il consigliere di Hadleyville e i cittadini che accecati dall’avidità per i vantaggi economici portati dall’industrializzazione stessa abbandonano l’uomo e l’amico Kane, abbandonano  il senso di umanità.

Dunque nei magnifici titoli di testa, Lee van Cleef nel ruolo di Jack Colby è il primo bandito ad essere arrivato nel luogo convenuto ed è inquadrato subito all’inizio dei titoli nella versione originale inglese mentre fuma seduto su una roccia, in un controluce che lo fa apparire in un primo momento quasi una parte della roccia stessa, angoloso come un suo spuntone. Quindi avvista Ben Miller interpretato da Sheb Wooley, nei titoli di coda della vecchia cassetta scritto con due l, che si esibirà in seguito presso il saloon in un paio di frenate a cavallo da rifinito padrone del cavalcare – prima di essere attore Wooley era un rodeista affermato. Lee van Cleef si alza in un bel piano americano che con la carrellata diviene lentamente mezza figura – verosimilmente un omaggio di Zinnemann all’attore al suo primo film dove mostra il suo aspetto da duro che porterà per altro anche con Sergio Leone.  Una lontana ombra di sorriso si sparge sui volti dei due amici quando si incontrano ed entrambi si siedono su rilievi rocciosi, di nuovo metafora della loro natura insensibile ai sentimenti più umani e adatta alla loro durezza di cuore – e di fatto sono delinquenti dei peggiori, ossia delinquenti che uccidono. Infine viene avvistato in lontananza il più grosso dei due, Jim Pierce, luogotenente di Frank Miller, impersonato da uno splendido Robert J. Wilke dallo sguardo del cattivo come lo si può trovare nelle migliori fiabe illustrate o nei cartoni animati. I due raggiungono quest’ultimo che si è fermato sotto un albero e aspetta che gli altri vengano da lui evidenziando con ciò subito di essere il più importante dei tre. Quando sono tutti assieme partono al segnale di Pierce con il passo lungo del galoppo e il sobbalzo pure lungo dei tre sulla sella. La sfasatura spaziale dei tre cavalieri, paralleli ma non tutti regolarmente allineati uno accanto all’altro e ripresi di profilo, rende più visibile i moti lunghi e  decisi del galoppo alla partenza. La bella carrellata laterale riprende i tre di profilo, il piano americano dell’inquadratura relativa a Pierce e la mezza figura degli altri due in prospettiva associano, con l’abbassarsi e il sollevarsi dei loro cappelli con parte superiore piatta e circolare, il meccanismo alternato dei cilindri di un motore a scoppio, a significare come l’azione esplosiva sia messa ormai in moto, ciò che è sottolineato dal Leitmotiv musicale di Dimitri Tiomkin adattato nel contesto al ritmo breve che regola gli speciali moti di uomini e cavalli. Qui si inserisce un capolavoro del montatore Elmo Williams in collaborazione con Harry Gerstad giustamente premiati con l’Oscar: i sobbalzi sui loro cavalli lasciano l’aspetto realistico del galoppo iniziale  e assumono quelli di uno speciale passo accelerato artificialmente dal montaggio risultando a cortissimo raggio e strettamente verticali, impossibili in un trotto o passo realistico e  appunto meno che mai in un galoppo. A monte di questa speciale modalità non realistica del cavalcare sta una speciale istanza semantica. La cavalcata, con i suoi artifici, mostra all’ingrandimento la componente illusoria del cinema, ossia come questo sia gioco di immagini di fantasia – i tre appaiono molto  visibilmente come figure piatte quali in realtà sono, figurine fatte di luci e ombre, di chiaroscuri. In questa cavalcata resa particolare grazie al montaggio Zinnemann ha dato espressione alla prospettiva interiore da cui è partito, attratto e spinto nel profondo dall’emozione di creare mondi di fantasia, della sua immaginazione, mondi artistici – per altro il punto di riferimento della storia è esso stesso di fantasia, letterario, non preso dalla realtà concreta. In aggiunta i tre paiono automi inespressivi che eseguano ordini, nella fattispecie non solo o non tanto gli ordini di Frank Miller, ma nel contesto della scena soprattutto quelli del regista come puparo che regga i fili delle sue marionette.

A proposito dei tre criminali che fanno la loro prima comparsa nelle immagini sullo sfondo dei titoli di testa, si evidenzia nel corso del film un cenno di occhio buono del regista su di essi. Cominciando con Lee van Cleef-Colby, questi è colui che non parla mai e solo accenna molto vagamente qualcosa come un’intenzione di sorriso all’arrivo di Ben Miller. Tale personaggio ha sempre uno sguardo freddo e truce, come si conviene al personaggio dell’assassino da lui impersonato – giunge a Hadleyville per uccidere Kane –, ma, attendendo ai binari del treno di mezzogiorno, suona con la fisarmonica a bocca molto sommessamente, quasi impercettibilmente, proprio l’aria malinconica di High Noon. È come se il bandito abbia nel suo intimo comunque qualche sentimento e comunichi senza parole a se stesso la sua solitudine e malinconia attraverso la musica, con i suoni più adatti a manifestare la sua interiorità, un’interiorità che nello specifico contesto risulta non aggressiva, bensì nostalgica, forse di ciò che non ha avuto di buono nella sua vita di disperato ai margini della società come è proprio di un appartenente ad una banda di criminali, un’interiorità forse memore di affetti perduti – come anche dalle parole della canzone che restano fuori campo, ma che si immagina Colby conosca. Questa presentazione dà l’impressione che Colby abbia un cuore malgrado tutte le apparenze contrarie più sopra rilevate ed evidenti in tutto il film. Accanto a questo spaccato sentimentale relativo a Colby, ci sono i rari e brevissimi appena accennati sorrisi di Jim Pierce e Ben Miller, fratello di Frank – anche Colby accenna quasi impercettibilmente ad un sorriso buono quando saluta Ben nella prateria – quando vedono il loro capo ormai sceso dal treno, sorrisi di entrambi che sono molto, molto simili a quelli di bambini buoni e contenti all’arrivo del papà. In particolare Ben Miller, quando sta al saloon e viene salutato e festeggiato dagli amici, viene inquadrato a lungo mentre sorride per così dire da buono, a cuore aperto. Se Zinnemann non avesse avuto l’intenzione di far apparire i tre banditi in parte, piccola e anche piccolissima tuttavia identificabile nelle inquadrature, come non privi di qualche parvenza di sentimenti positivi, avrebbe richiesto sorrisi di diversa natura o anche nessun sorriso. Il perché di questi attimi per così dire di umanità riservati da Zinnemann a tre individui, che non possono che essere negativi nel loro complesso e lo sono per quanto rappresentano nella società, non è derivabile dal luogo comune banale secondo il quale tutti gli umani avrebbero qualcosa di buono e di cattivo – nulla è banale per altro in questo film –, bensì è derivabile da un fatto concreto chiaramente individuabile: dal rapporto che i tre banditi hanno con il loro capo, rapporto al quale Zinnemann ha dato inequivocabilmente il suo riconoscimento positivo. Questi fuorilegge accolgono il loro capo contenti di essergli utili e di formare un gruppo con lui, sanno essere fedeli al loro capo, concetto caro alla cultura tedesca dalle origini ai giorni nostri e a Zinnemann in particolare e questo ha evidentemente meritato nel contesto del film una approvazione rispetto al nucleo centrale del film relativo ai paesani che tradiscono Kane immemori del fatto che il bene di cui godono sia frutto dell’azione trascorsa di Kane in qualità di sceriffo. I tre delinquenti sono e restano individui malvagi, ma non lasciano da solo il loro capo ad affrontare Kane, capo di cui sono fedeli uomini pur nel male ed anzi rischiano la loro vita e la perderanno per lui e con lui. Quando partono alla ricerca di Kane tutti e quattro schierati ed esposti al tiro di chiunque mostrano di essere certi che nessuno dei cittadini oserà sparare contro di loro, mostrano di conoscere bene di che pasta siano fatti tali cittadini, anche coloro che non sono loro amici. Per ribadire: sono compatti nella loro alleanza, ciò al contrario dei bravi e onesti cittadini di Hadleyville che lasciano Kane al suo destino di morte sicura adducendo giustificazioni meschine e infondate, calunniose, come quella con cui vorrebbero ascrivergli la presenza di suoi motivi personali contro Miller nei quali essi non c’entrerebbero essendo cittadini perbene che, come affermano più volte, non hanno niente contro nessuno – in realtà Kane non ha niente di personale con il bandito come si inventano i buoni cittadini di Hadleyville tentando con le loro calunnie di acquistarsi il diritto di non aiutarlo. Kane ha solo arrestato l’omicida per il bene della città come è stato il dovere derivato dalla sua carica che egli ha onorato a rischio della sua vita.

Tornando in particolare al dinamismo dell’azione nel film, esso è una connotazione importante, già evidenziata tra l’altro con le tre unità che danno stringatezza all’azione stessa e con il bianco e nero che evita qualsiasi distrazione dai moti di cui si compone l’azione come ci sarebbe in misura diversa ma  inevitabilmente in seguito alle immagini a colori. In aggiunta a ciò appunto vengono fra l’altro inquadrate le ruote della carrozza guidata da Kane o dettagli di essa che subiscono una artificiale  accelerazione proprio per mettere in rilievo il moto, l’avanzamento rapido, l’azione decisa. Viene anche inquadrato frequentemente, come anticipato, l’orologio a pendolo che scandisce lo scorrere rapido dei secondi, spesso con suono extradiegetico piuttosto forte che esprime come Kane e anche altri personaggi percepiscano drammaticamente l’avanzare del tempo verso il mezzogiorno, verso la meta che pare comportare con certezza l’uccisione di Kane. La presenza di ruote in accelerazione e delle immagini di cui sopra che associano il congegno dei cilindri, nonché l’orologio e le sue lancette,  riecheggiano, seppure in sedicesimo, un’eredità del grande maestro austriaco del cinema Fritz Lang. L’amplificazione del dinamismo, molto maggiore che in Zinnemann, è presente nei titoli di testa di Metropolis e durante lo svolgimento del film: qui vengono enfatizzati i meccanismi rapidi del moto quali ruote, rotelle tonde o dentate in movimento, orologi e simili, ossia la dinamicità impressa all’azione dalla tecnologia che comunque sempre rappresenta o simboleggia la capacità di azione e il dinamismo dell’uomo, compresi i suoi rischi di possibile disumanizzazione. Ancora una parola sul pendolo: in una magnifica inquadratura verso la fine del film esso diviene metafora per il destino dell’uomo in generale. Grazie all’ingrandimento e all’inquadratura di sbieco, che movimenta il pendolo nello speciale primo piano, esso evoca la spazialità della falce coinvolgendo così più direttamente l’immaginario dello spettatore in relazione alla morte in sé, quasi la morte stessa avanzasse con drammatica inesorabilità maneggiando furiosa la falce del tempo – un po’, sebbene alla lontana, come la Morte in Metropolis di Fritz Lang, quando avanza brandendo la falce simile al moto orizzontale di un pendolo, la falce del tempo appunto –, ciò che supera per un attimo la vicenda di Kane per sovrapporle la più ampia vicenda umana.

Nelle tecniche utilizzate nel film, tra l’altro, vi è una preferenza per le carrellate a seguire, ciò che ha dei riflessi nel significato delle immagini. Ad esempio: nella cavalcata dei tre banditi, le cosce delle zampe posteriori dei cavalli nella loro possanza mettono in evidenza l’animalità degli stessi e di conseguenza, nel contesto, quella dei loro cavalieri che paiono essere quasi solo bestie, senza identità umana vista in aggiunta la ripetuta ripresa dal retro anche della loro camminata a piedi con invisibilità del loro volto, quasi essi siano una personificazione anonima del male. Questa mancata visibilità data spesso ai tratti identitari  dei banditi con le riprese dal retro non è casuale nel contesto, ossia non deriva sempre da normali esigenze intrinseche alle varie azioni, ma, vista la frequenza di tale ripresa, è da ritenersi spesso intenzionale. A conferma  ulteriore:  quando alla fine il paese dapprima chiuso in casa si riversa attorno a Kane che sta per lasciare la città assieme alla moglie, gli abitanti sono ripresi dall’alto e in distanza, nonché quasi completamente dal retro, così che nessuno di loro è riconoscibile o comunque mostra un volto. Uniche eccezioni:  il ragazzo che avrebbe voluto aiutare lo sceriffo quando, non visto da questo, osserva la sua sofferenza per il destino che lo attende; Kane e la moglie, mentre tutti gli altri sono come una massa informe, ciò a evidenziare come l’avere un volto, una identità non sia da tutti, ma solo degli uomini degni di essere tali, non banditi, non vili e traditori, così nel messaggio iconico del film.

Per finire, citiamo ora i temi principali rappresentati nel film a cominciare da quello inerente alla Giustizia. I poliziotti, qui nelle vesti dello sceriffo, fanno il loro dovere, arrestando con rischio personale della vita i criminali. I giudici che emettono la sentenza definitiva tuttavia applicano la legge in misura molto debole e a vantaggio dei delinquenti: avendo Frank Miller commesso un omicidio, dovrebbe essere condannato a morte secondo quanto prevede la legge del luogo, ma i giudici gli danno l’ergastolo, la condanna al carcere a vita, scappatoia per concedere dopo poco la libertà – di fatto il bandito viene graziato dopo soli cinque anni dai giudici che lo hanno condannato, ossia la pena, pur certa e comminata, non viene scontata, in luogo della galera a vita stanno soli cinque anni di detenzione come per i reati minori, anni cui segue la libertà di uccidere di nuovo, non certo i giudici che sono stati buoni, ma lo sceriffo che è stato il cattivo che lo ha arrestato così che le forze dell’ordine imparino la lezione e non diano più fastidio ai fuorilegge. Anche il giudice di Hadleyville, che si dichiara amico di Kane e che pure ha legalizzato in città l’arresto dell’assassino Frank Miller, fugge quando sa dell’arrivo della banda invece di aiutare Kane perché intimorito dal fatto che potrebbe essere anch’esso oggetto di vendetta.

La codardia dell’umanità in generale e dei giudici in particolare, è certo uno dei messaggi forti del film, ma non l’unico appunto, come andiamo a vedere di seguito.

La pena di morte non viene esaltata, ma neppure condannata, la morte di Miller avrebbe impedito al delinquente di uccidere ancora e di continuare a nuocere alla società, come invece avviene non appena al bandito viene condonato l’ergastolo. Kane, a casa dell’ex sceriffo suo maestro, dice che talora il carcere cambi le persone migliorandole, ma viene contraddetto dall’ex sceriffo che gli dice che questo non accade mai e che la sua morte è già pianificata e decisa dai quattro. In altri termini: il carcere non cambia le persone, ossia il cambiamento di costumi cerebrali, quindi psicologico e comportamentale, non avviene con la detenzione o con qualche predica moralistica, ma neppure e meno che mai con i condoni, con la scarcerazione anzi tempo, come il messaggio del film sottolinea. A ciò è implicito, nel film, che chi è bandito dalla società per gravi crimini debba restare in carcere, non più al suo esterno, in altri termini e sempre nel contesto del messaggio contenuto nel film: l’individuo che è condannato all’ergastolo a vita si può anche recuperare, certo, ma il suo recupero deve avvenire in carcere e per un’esistenza da viversi nel carcere dato il rischio che costituirebbe comunque per le persone civili una volta di nuovo libero e posto quindi nelle medesime condizioni che ne hanno fatto un delinquente.

Molto interessante è anche il tema dell’alleanza fra maschi, in genere nella cultura umana portata ad esempio contrastivo con la carenza di capacità di vera e propria alleanza fra donne. Nel film, l’alleanza che regge anche nel pericolo risulta essere, come accennato, quella fra delinquenti, non quella tra maschi borghesi, cosiddetti per bene e il loro capo delle forze dell’ordine: Miller ha un suo gruppo di criminali che comunque sacrifica la vita per essergli fedele, per aiutarlo, Kane non può contare su nessuno, si tirano tutti indietro anche calunniandolo pur di non rischiare nulla, anzi non vedono l’ora che se ne vada per non avere fastidi in città, lo vorrebbero sapere fuori dalla città, morto senza dare loro seccature. Ma anche lo deridono addirittura al Ramirez Saloon quando tenta di arruolare agenti giurati per non far fronte da solo alla temibile banda. Lo deridono in quanto sono dalla parte del bandito e sono contenti che Kane se la debba vedere da solo con lui e la sua banda, che debba morire come tutti ritengono che avverrà – solo il gestore del saloon, pur anch’esso contro Kane, ne riconosce apertamente il coraggio e l’onestà. Oltremodo commovente è il tono di voce di Kane quando tenta di reclutare i suoi aiutanti tra gli avventori fingendo una sicurezza e un’autorevolezza che sa di non avere più: un tono sicuro di sé, quasi imperativo, da uomo forte, un tono che suscita negli uomini del saloon solo scherno e derisione, così che Kane esce sconfitto accompagnato dalle risa di chi non lo aiuta e lo abbandona alla sua sorte. Anche quando Kane chiede aiuto in chiesa, ci sono alcuni che vorrebbero aiutarlo, ma alla fine sono tutti convinti dal discorso opportunistico del consigliere della città che dice come non convenga a Hadleyville essere luogo di sparatorie che farebbero retrocedere di cinque anni – tanti quanti ne sono trascorsi dalla sparatoria che ha portato all’arresto di Miller – il livello civile ed economico raggiunto e perdere importanti investimenti che si stanno progettando da parte di danarosi industriali. Così la comunità dei credenti abbassa gli occhi vergognandosi in qualche misura di non aiutare Kane e lo abbandona comunque alla sua sorte che pare segnata. Il parroco stesso, richiesto di dare un consiglio, non dà nessun consiglio, si tira indietro non sapendo che decisione prendere e far prendere ai suoi parrocchiani pur essendo consapevole del fatto che Kane sia dalla parte del giusto, ossia assume un comportamento che ricorda in parte quello di don Abbondio: preferisce, implicitamente al suo non sapere che pesci pigliare, che a decidere siano i banditi e che la vittima sia una sola, Kane.

Quanto alla personalità delle donne, esse sarebbero in generale a favore dell’intervento in aiuto a Kane come emerge in tutte le situazioni, anche in chiesa, ossia esse tacciono o spendono la loro parola a favore dell’intervento dei loro mariti a fianco dello sceriffo, ma la loro parola non viene presa in considerazione e devono fare come vogliono i loro uomini, devono sottomettersi alla loro volontà di tirarsi indietro. L’unica alleanza che regge nel bene fra uomo e donna è quella tra Kane e sua moglie che trasgredisce le regole stesse della sua religione quacchera, che vieta l’uso delle armi, per salvare il suo compagno. Dapprima essa lo lascia non volendo appunto risolvere la questione fra i banditi e il marito con le armi, ma alla fine, spinta dall’amore e dalla necessità di compiere un’azione giusta difendendo il suo uomo che essa sa essere un uomo giusto, spara alle spalle a Jim Pierce, l’unico bandito oltre a Frank Miller non ancora ucciso da Kane, mentre, ridacchiando fra sé e sé, sta caricando le due pistole con le quali è ormai sicuro di uccidere Kane – per altro con l’azione della donna, che non è un agente dello sceriffo ma un privato cittadino, il film sostiene l’uso delle armi da parte dell’uomo qualsiasi per la legittima difesa, visto che la Giustizia non fa il suo dovere. Successivamente in mano a Frank Miller che se ne fa scudo di fronte a Kane, quando questo si mostra in cambio della sua liberazione, Amy rischia la propria vita voltandosi e graffiando gli occhi del bandito che deve gettarla a terra, ma che in questo modo si espone all’arma di Kane che con due colpi lo fredda in una magnifica ripresa dal retro e di parziale profilo, in un’azione quasi solenne, come il braccio di Kane sia il braccio della Giustizia, quella giustizia che ha graziato l’assassino tornato per uccidere l’uomo giusto e onesto. La condanna a morte non comminata dalla Giustizia, l’ingiusta liberazione di un pericoloso assassino dall’ergastolo decretata dai giudici, non hanno la meglio per il coraggio dello sceriffo, ma anche e soprattutto per l’intervento di una donna, non di un’amica o compagna, non di Helen Ramirez che pure ha amato e ama ancora Kane, ma della moglie di questo. In tal modo il film sottolinea come il legame tra maschio e femmina che conti individualmente e socialmente sia quello del matrimonio che celebra in High Noon una sua punta d’onore. Non si tratta però di un’unione che vede la donna sottomessa al marito come si evince dal comportamento femminile delle mogli dei bravi cittadini che si adeguano alla decisione dei loro sposi, bensì di un’unione che vede la donna, contraria ad uccidere, in grado di prendere proprie decisioni in contrasto con la religione e con i suoi principi e anche di intraprendere azioni estreme quando si tratta di difendere suo marito, la sua vita con il suo uomo, di salvaguardare il futuro della sua nascente famiglia e con essa anche, indirettamente, della società stessa. Uccide il criminale che avrebbe ucciso il marito e con ciò compie l’azione tanto da essa esecrata e pure riconosciuta alla fine utile e necessaria a salvare l’uomo giusto e a contrastare il male, vista l’assenza e la fuga stessa della Giustizia, visto il ritiro dei falsi amici che non vogliono rischiare nulla e che non capiscono come debbano in qualche modo contrapporsi ai delinquenti se non vogliono essere e diventare come loro o essere future prede. L’importanza dell’unione di marito e moglie ottiene una magnifica esaltazione a livello iconico nell’inquadratura che mostra Kane e Amy a cassetta, ormai marito e moglie, mentre stanno per lasciare Hadleyville: uno vicino all’altra campeggiano sullo sfondo del cielo e della prateria, con espressione seria e consapevole non solo dei rischi incombenti – la moglie non sa ancora niente di preciso della motivazione per la partenza così frettolosa del marito –, ma anche e soprattutto del loro ruolo come cellula fondamentale della società, con tutte le responsabilità che fondare una famiglia comporta per sé e per il vivere civile.

Un film del tutto attuale e di tutti i tempi nei temi trattati, da quello della Giustizia a quello del matrimonio tra maschio e femmina come base della famiglia, a quello della legittima difesa, a quello della solitudine non del superuomo, ma dell’uomo onesto che risulta sfruttato e osteggiato. Si salvano soprattutto o solo due figure del popolo, quella del ragazzino che vorrebbe aiutarlo rischiando la propria vita per Kane e quella dell’alcolizzato che si offre in aiuto: non solo la generosità e i buoni sentimenti della fanciullezza, addirittura anche un alcolizzato risulta essere moralmente migliore della società per bene.

Da ultimo, Kane, che in un finale ideato precedentemente del film calpestava la stella di latta gettata a terra, la stella che ha portato quale sceriffo – ricordiamo che Kane combatte i criminali da sceriffo, non da cittadino qualsiasi e che vorrebbe reclutare degli aiutanti ufficiali –, getta nella polvere la stella anche nella versione definitiva, ma non la calpesta, forse per non fare l’azione tanto violenta per così dire, di certo per non sporcarsi più neppure la suola delle scarpe con essa e gira sui tacchi. In altri termini: rifiuta in quel momento la legge stessa in cui non ha più fiducia e rifiuta la comunità degli uomini, gli amici, nei quali ha perso in aggiunta la fiducia e guarda in faccia solo il ragazzino che conserva un’identità visibile che può mostrare a testa alta, senza vergogna, con onore. Nel vincolo del matrimonio di Kane ed Amy Fowler e nel riconoscimento del valore del ragazzino si apre nel film uno spiraglio per il futuro della società, così che il rifiuto di Kane  relativo alla legge e agli uomini non risulta totale. Si tratta tuttavia di un rifiuto che resta senza rappacificazione di Kane con la massa informe e anonima di persone che gli si avvicina ora che tutto è finito quasi per festeggiarlo. Anche questo è uno dei messaggi importanti del film: non un invito a dimenticare chi sono stati gli altri quando questi altri non hanno aiutato l’uomo dal quale avevano avuto tanto, bensì la chiusura totale nei loro confronti, la memoria della loro viltà e ingratitudine. Una forma di rancore? No. Il film dice, implicitamente, come sia necessario riconoscere il male e tenerlo lontano e come per realizzare ciò occorra non dimenticare, questo il messaggio positivo a monte di tale rifiuto e chiusura, positivo e anche audace vista la Giustizia che perdona i cattivi e dimentica le cattive azioni degli stessi, mettendo i buoni cittadini in mano ai loro assassini, al male. Kane non si vendica, ma ricorda chi lo ha lasciato da solo in mano ai banditi, senza alcuna solidarietà né umana né civile, ricorda per non cascarci più. Un po’ come Pinocchio quando rivede il gatto e la volpe in disgrazia e non ha compassione di loro perché ricorda chi siano stati in realtà e se ne tiene lontano non credendo alle loro professioni di cambiamento in bene della loro personalità.

Così termina l’analisi di alcuni tratti ritenuti più significativi in questo film giustamente ai vertici della storia del cinema mondiale.

Rita Mascialino

 

 

 

 

 

 

(Dalla serie di dodici opere dedicate a Rita Mascialino dall'artista friulano MARINO SALVADOR

333 9732672

2019 Ritratti  in frammentazione: Rita Mascialino)