Vengo qui a delineare la mia proposta per una base oggettiva funzionale a identificare il significato dell’arte e a fungere altresì da base affidabile o più affidabile per le più varie teorie estetiche e di ricerca.

La partenza per la teorizzazione di quello che è stato da me definito il Metodo Spaziale risale a diversi decenni or sono, quando ho deciso di descrivere il mio personale modo di vedere il mondo, ossia ho osservato e analizzato il modo in cui osservavo il mondo – processo per nulla agevole da seguire –, che cosa e come osservavo quando vedevo, ascoltavo, leggevo, pensavo, focalizzando l’ambito della mia ricerca precipuamente sul mondo dell’arte, a me caro in particolare, di tutte le arti: dalla poesia alla narrativa, alle arti visive, alla musica. Risultato dell’analisi fu la constatazione che al centro della comprensione del significato del mondo secondo il filtro della mente specie-specifico o universale e individuale o soggettivo sta la Spazializzazione dell’esperienza in tutte le sue diverse direzioni, manifestazioni, ossia l’identificazione degli Schemi Spaziali relativi al lessico, alla morfologia, alla sintassi, a tutto il mondo delle figure retoriche e precipuamente logiche, alle associazioni tra elementi della percezione, insomma a tutto il mondo linguistico. Lo stesso sistema è applicabile alle arti visive e alla musica, a qualsiasi atto del percepire e del comprendere. Schemi Spaziali non isolati e statici, ma che si rinvengono nella Spazialità Dinamica caratteristica del reale e del pensiero, dell’intera esperienza della vita. In altri termini, questo implica tra l’altro che determinante sia il contesto non esterno alla mente, ma interno ad essa con le sue caratteristiche di universalità secondo le varie specie e di individualità secondo i vari soggetti. Tale Spazializzazione si pone come mezzo di indagine della Rete Spaziale convogliata dal linguaggio e dalle immagini, dai suoni e ho potuto constatare come la comprensione, il significato di quanto prodotto all’interno della mente umana all’origine si costruisca secondo Schemi Spaziali che assieme formano l’impronta più originaria e veritiera del significato. Tale impronta più originaria è stata da me distinta due percorsi diversi, quelli dell’Esotrama e dell’Endotrama entrambe riferite all’Esplicito e all’Implicito, termini con cui ho specificato schematicamente il concetto di trama secondo l’ottica spaziale intrinseca al Metodo, ciò per cui il Metodo Spaziale, se ci si riferisce alle sue principali Fasi testé citate è anche identificabile come Metodo Quadrifasico. L’Esotrama, come esplicita il concetto espresso nel termine, è la trama relativa alla facciata degli Schemi Spaziali, la trama di superficie, quella che si coglie agevolmente in base alle caratteristiche esteriori e ai dettagli di uno o l’altro tipo, precisi nei contorni delle loro forme e nei colori. Tuttavia l’Esotrama, limitandosi alla facciata degli Schemi Spaziali, a quanto appare della Spazialità Dinamica, può non cogliere il significato, ossia può sbagliare nell’analizzare e centrare il significato di quanto si vuole comprendere, permanendo essa più facilmente a livello di sintesi di elementi di superficie. L’Endotrama, come esplicita il concetto espresso nel termine, è la trama relativa allo scheletro degli Schemi Spaziali spogliati della loro facciata linguistica, visiva, musicale, meno agevole a individuarsi. Essa risulta come un insieme di traiettorie dei moti sottesi alle azioni esplicite e implicite –, privati della loro visibilità di facciata esotramatica. L’Endotrama è lo strumento più profondo di verifica e falsificazione sottostante a quanto colto prima facie dall’Esotrama. Ne risulta una trama astratta delle traiettorie degli Schemi Spaziali inseriti nella Spazialità Dinamica dove sono collegati in un reticolo che dispone gli Schemi Spaziali secondo quanto prodotto dalla mente umana quanto a comprensione della realtà, ad assegnazione di significati sia sulla base specie-specifica o universale che su quella portata dalla soggettività individuale del vissuto di ciascuna mente. Il lavoro di Spazializzazione, relativo all’ambito dell’arte di qualsiasi tipo, va attuato ad ogni parola, frase, capoverso, ad ogni immagine, suono e ritmo, nonché va costantemente comparato con le identificazioni precedenti e associabili relativamente all’intera opera. Il Metodo distingue il più precisamente possibile l’Esotrama dall’Endotrama, sia a livello esplicito che implicito, conscio e inconscio, così avendo i due percorsi separati a disposizione per l’identificazione più corretta degli Schemi Spaziali, perché proprio gli Schemi Spaziali rilevati dall’Endotrama in riferimento all’Esotrama dicono l’ultima parola – o la prima – sul significato secondo il piano oggettivo dello stesso. In altri termini: nel Metodo Spaziale si viene a ricostruire la rete infinita di associazioni di un’immagine a immagini simili o quasi simili o diverse o parzialmente diverse immagazzinate secondo la realtà oggettivamente esperita e soggettivamente formata nella mente dell’individuo. Le associazioni possono avvenire per immagini globali o per singoli tasselli – di cui comunque si compongono le immagini globali –, finché la neocorteccia, su quanto i cervelli arcaici le inviano, produce le immagini che vengono recepite come tali dalla mente umana, nonché le parole, che sono il grande magazzino delle memorie esperienziali della specie e dell’individuo provenendo esse nella loro radice oscura dal più arcaico modo di adattamento alla vita, inoltre e tra l’altro i più arditi calcoli matematici, la verifica e la falsificazione attuata dalla Spazialità Dinamica della logica. Dunque quando tutti gli Schemi Spaziali reggono gli uni con gli altri come costrutto e ricostruzione, ossia dopo un lavoro paziente e attento a base di falsificazioni e verifiche, allora si hanno un significato e una serie di significati che hanno fondamento e che non sono frutto di facile quanto inutile libera interpretazione. Su tale base semantica oggettivamente fondata si instaurano poi tutte le indagini relative all’infinito contesto storico, anche tra l’altro il ramo dell’etimologia diacronica del linguaggio, delle parole, ossia la storia dei significati delle parole nell’evolversi delle epoche.

Ho voluto quindi, una volta analizzato e descritto, nonché pubblicato, ossia a cose fatte e ufficiali, cercare sul piano interdisciplinare della biologia, se la Spazializzazione del linguaggio, delle immagini, dei suoni avesse un riscontro oggettivo nell’ambito degli studi scientifici generali di fisiologia e neurofisiologia degli organi di senso, in particolare del sistema visivo e uditivo su cui si incentra soprattutto lo scheletro della Teoria Spaziale e del Metodo Spaziale, questo nella prospettiva evoluzionistica da cui nessuna scienza può oggi prescindere. Così ho potuto riscontrare la presenza di una corrispondenza oggettiva delle coordinate del Metodo sul piano degli studi scientifici generali testé citati, ossia ho potuto constatare che Teoria e Metodo Spaziale sono costruzioni dotate di fondamento oggettivo, il fondamento biologico in correlazione con i fenomeni logici e psicologici, senza con ciò rientrare minimamente in uno o l’altro riduzionismo, ma solo avendo un riscontro con la natura della mente umana. Qualche parola sulle citate basi oggettive del metodo.

Alla base del fenomeno dell’adattamento degli umani all’ambiente sta l’attività neurale delle varie zone dei due emisferi cerebrali, per quanto interessa il Metodo detto a grandi linee: destro, spaziale, e sinistro, linguistico, i quali elaborano e immagazzinano l’esperienza, grazie a una continua interazione reciproca, in circuiti elettrici relativi ai sistemi sensoriali che procedono secondo stimoli elementari, questo procedendo secondo canali di frequenza spaziale che trovano il completamento e il perfezionamento a livello di corteccia cerebrale, che elabora in un complesso lavoro di integrazione e di connessione i dati percettivi raccolti primariamente dai cervelli arcaici, rettiliano e limbico, ossia dai cervelli non linguistici che precedono nella loro formazione quelli linguistici, della corteccia. Il sistema visivo recepisce a livello di retina, diversamente attraverso coni e bastoncelli, gli stimoli ambientali scomponendoli in parti elementari secondo canali di frequenza spaziale trasdotti in segnali elettrici che inviati alla corteccia vengono da questa processati per dare la possibilità più completa di adattamento all’ambiente, secondo il sistema visivo ad esempio: l’immagine visiva.

In questa estremamente complessa cooperazione delle diverse aree neurali vengono a coincidere con la Teoria e il Metodo Spaziale le frequenze spaziali, principalmente le basse frequenze e le alte frequenze spaziali. Le basse frequenze formano lo schema globale dell’immagine, non perfettamente definito, a macchia fosca per così dire come nella visione scotopica o notturna fornita dai bastoncelli, che si ha con scarsa e anche scarsissima presenza di stimoli luminosi, mentre le alte frequenze dettagliano l’immagine come nella visione fotopica o diurna fornita dai coni, che si ha con sufficiente e anche notevole presenza di stimoli luminosi. Le basse e le alte frequenze riguardano analogicamente anche il sistema uditivo, ciò che ha fatto ipotizzare come il cervello utilizzi medesime o affini modalità di analisi per sistemi sensoriali diversi, modalità che hanno la loro base nella Spazializzazione dell’esperienza.

Rita Mascialino