RITA MASCIALINO: SIEGFRIEDS TOD UND TRAUERMARSCH di RICHARD WAGNER: RIFLESSIONI SULLA TETRALOGIA

RITA MASCIALINO: SIEGFRIEDS TOD UND TRAUERMARSCH di RICHARD WAGNER: RIFLESSIONI SULLA TETRALOGIA

Category: Miscellanea Musicale,

RITA MASCIALINO, SIEGFRIEDS TOD UND TRAUERMARSCH DI RICHARD WAGNER:

RIFLESSIONI SULLA TETRALOGIA

 

Vengono qui presentati alcuni spunti per un’analisi semantica relativa alla Morte di Sigfrido e Marcia Funebre, Siegfrieds Tod und Trauermarsch, Dritter Aufzug, Zweite Szene, Terzo Atto, Seconda Scena, facenti parte del Crepuscolo degli Dei, Götterdämmerung, a sua volta la quarta e ultima parte della Tetralogia L’Anello del Nibelungo, Der Ring des Nibelungen (1848-1874), di Richard Wagner (Lipsia 1813-Venezia 1883) che termina con la Scena III, qui non trattata e citata solo per pochi brevissimi richiami indispensabili all’esposizione dell’analisi del pezzo considerato. Il testo del Libretto è quello originale di Wagner come nell’Edizione curata da Manacorda sullo spartito musicale adottato dalla regia di Bayreuth (Breitkopf u. Härtels Textbibliothek, n. 520), riveduto nella grafia ed emendato nella punteggiatura. Il testo originale di Wagner, riportato da Manacorda, è stato ripubblicato da Mioli nell’Edizione del 1998 (Wagner in Manacorda a cura di: 1935; Wagner in Mioli a cura di: 1998). La direzione orchestrale qui citata si riferisce all’esecuzione della London Philharmonic Orchestra, con qualche rimando comparativo all’esecuzione da parte dell’Orchestra dei Berliner Philharmoniker, entrambe condotte dal Direttore tedesco Klaus Tennstedt (Merseburg 1926-Heikendorf 1998). La direzione di Tennstedt – trascurando le contestazioni di una parte di critici musicali e di altri direttori d’orchestra molto diversi da lui – è nota non solo per la perfezione tecnica, bensì anche e soprattutto per la capacità di interpretare la musica nei suoi lati più emozionali, in ciò che essa significa. Tennstedt non ha diretto qualsiasi compositore di qualsiasi provenienza, ha concentrato la sua attività di Direttore soprattutto relativamente ai grandi compositori Romantici austro-tedeschi della sua cultura linguistica di appartenenza, in primo luogo Gustav Mahler, con i quali e con il quale in particolare, secondo le sue stesse dichiarazioni, riteneva di avere le maggiori affinità. Digredendo sul tema delle direzioni d’orchestra, segue una nota sulle qualità che la direzione d’orchestra nelle opere liriche doveva avere secondo un giudizio espresso dallo stesso Tennstedt. In un’Intervista – vedi tra l’altro i due siti citati nella sitografia in calce a questo studio – ebbe a dire che direttori d’orchestra immaturi, ossia giovani, non potevano capire pienamente le opere dei grandi compositori, questo non per mancanza di competenza tecnica, ma per mancanza di una necessaria esperienza esistenziale che Tennstedt aveva grazie appunto alla maturità e alla capacità di elaborazione dell’esperienza stessa nelle sue sfaccettature più sottili, che gli rendevano possibile un articolato e prezioso affondo emozionale nella direzione orchestrale.

Entrando nell’argomento, vengono qui date un’analisi e interpretazione di alcune caratteristiche di ambito semantico riguardanti la musica di cui si compone il pezzo sopra citato in corrispondenza con il Libretto originale di Wagner, questo a prescindere dalle varianti interpretative nel teatro o nel cinema. In Wagner, attraverso il destino di Hagen, quasi più ancora che di quello di Siegfried, l’eroe a lui più caro, e comunque in aggiunta a questo, come vedremo, viene data piena verità alla germanicità: guerriero che tradisce i suoi capi per essere fedele al proprio padre, ossia pone – indebitamente  nel germanesimo – la fedeltà ai legami biologici al di sopra di quella ai capi e che tuttavia alla fine si redime dal tradimento, che paga andando incontro alla morte da guerriero germanico, tutto d’un pezzo e volendo redimersi nell’unico modo ormai possibile dalla macchia sul suo onore.

Qualche cenno preliminare, onde circostanziare almeno in linea di massima l’azione, ad alcune fasi della trama del III Atto Scena II del Crepuscolo degli Dei, quelle in cui si compie il destino di Sigfrido.

Dunque Sigfrido viene colpito dalla lancia di Hagen alla schiena che non era completamente invulnerabile. La lancia germanica aveva l’asta di legno non lunghissima onde essere adatta sia al lancio in distanza sia al colpo sferrato in vicinanza, nella fattispecie non viene lanciata appunto, ma conficcata nel dorso di Sigfrido – il libretto di Wagner utilizza il verbo stoßen in, conficcare, spingere dentro, non werfen, lanciare. Sigfrido, per guardare su apposita provocazione di Hagen i due corvi – uccelli al seguito di Wotan incaricati, tra l’altro, di informare il dio su quanto succedeva nel mondo e capaci di predire il futuro quando infausto – mentre si allontanavano dopo aver volato in cerchio sul suo capo in presagio di morte, si gira verso di essi offrendo le spalle a Hagen che così può colpirlo senza dover combattere frontalmente dove sarebbe stato sconfitto vista l’invincibilità dell’eroe. Non si tratta di un’azione dettata dall’impulso del momento, bensì premeditata già almeno dalla Scena V del II Atto quando Brunilde si accorge dell’inganno di Sigfrido nei suoi confronti e rivela a Hagen dove poterlo colpire per compiere la vendetta. Gunther ha appreso come Sigfrido avesse amato Brunilde prima di conquistarla per lui e accetta pertanto che Sigfrido venga ucciso da Hagen come vendetta sebbene non del tutto convinto dato il giuramento di fratellanza di sangue stipulato tra lui e Sigfrido cui deve comunque venire meno. Hagen si appresta a realizzare l’azione aiutato da un filtro magico che fa bere a Sigfrido perché ricordi il passato in tal modo disancorandosi per il possibile dal presente, ossia allentando l’attenzione, anelando Hagen in cuor suo non tanto o non solo alla vendetta in nome di Brunilde e di Gunther, quanto a impossessarsi dell’anello forgiato con l’oro del Reno rubato da suo padre, il nano Alberico, e già in possesso dello stesso, anello che avrebbe dato il massimo potere a chi lo possedesse.

Ci occupiamo dunque dell’interpretazione della musica relativamente al breve pezzo riferito alla morte di Sigfrido e sua marcia funebre, analizzando semanticamente anche il testo del libretto ove opportuno.

L’autore dell’assassinio è dunque Hagen, il Grundthema o motivo musicale  di base, che lo caratterizza psicologicamente, consiste in generale di note in moto discendente con strumento dal suono grave in corrispondenza alla sua truce natura di spietato guerriero germanico che conosce solo la fedeltà ai capi e la vendetta come giustizia.

Il pezzo la cui semantica viene qui proposta inizia con sommesse percussioni del timpano a introduzione di un’atmosfera sospesa, di attesa dell'azione. Proiettando i suoni in strutture spaziali: come se qualcuno avanzasse di nascosto, in punta di piedi perché nessuno possa accorgersi della sua presenza o del suo maggiore avvicinamento. Ricordiamo che Hagen sta ascoltando Sigfrido con cui interloquisce, mentre i timpani rivelano qualcosa di non espresso nelle parole, ossia, in seno al duplice piano del pensiero e delle parole di Hagen, esprimono le sue intenzioni diverse da quanto proferito esplicitamente. Segue il fagotto come se il suono emergesse dal basso, dal profondo, come già in una concertazione maggiore delle intenzioni nascoste rispetto a quanto espresso nella spazialità dei timpani e con la dissonanza cromatica che rende più sinistra l’aria, quindi intervengono di nuovo, dopo una pausa come se l’esplorazione mentale in avanzamento si interrompesse per il timore di Hagen di essere scoperto, le percussioni sommesse come per moti furtivi di nuovo in perlustrazione e ancora in avanzamento in varie direzioni, seguiti dal suono dei fagotti caratterizzato dai sinistri accordi dissonanti, nuovamente i timpani sommessi, ma come in un moto più rapido. Successivamente, dopo una pausa musicale gravida di concentrazione, giungono le poderose sferzate dei contrabbassi bassi in triplice battuta e in moto ascendente, a significare la decisione ormai irreversibile di agire, il coraggio necessario all’azione, sempre proiettando nella spazialità corrispondente: ad un metaforico passo che si avvicina alle spalle di Sigfrido, così nella mente di Hagen prima che segua l’azione vera e propria come continuazione della precedente triplice battuta. Esplode quindi l’azione delittuosa rappresentata musicalmente dall’intervento dei due micidiali colpi di contrabbasso basso, violoncello, ulteriori archi e strumentazione. Hagen, dopo l’invisibile preparazione avvenuta nella sua mente, ha ormai colpito a morte Sigfrido che gli ha girato le spalle ingannato da lui che lo ha distratto, come accennato, parlandogli e indicandogli i due corvi che si stanno allontanando dal suo capo, nonché facendolo voltare verso di essi, ossia che ha cercato e individuato il momento giusto per ucciderlo a tradimento. Si tratta di un’azione che si mostra fisicamente esplicita, preparata dal timpano e dal fagotto in una ripetuta e alternata successione di interventi come intenzioni tenute nascoste nella mente da Hagen, poi espresse attraverso l’intervento dei contrabbassi in piena sintonia con quanto premeditato. In altri termini: azione musicata a base di contrabbassi bassi, violoncelli, ulteriori archi e strumenti, la quale fa seguito alla rivelazione esplicita proferita da Hagen alle spalle di Sigfrido relativamente alla vendetta che sta per mettere in atto dopo la preparazione della stessa espressa con i timpani, i fagotti che conducono ai tre forti e gravi colpi ascendenti di contrabbasso basso ad esprimere il coraggio e l’audacia dell’avanzamento nella mente di Hagen ormai giunto a compiere l’azione rappresentata con il colpo mortale e suo assestamento nonché ritiro della lancia dal corpo di Sigfrido – che cade successivamente riverso –, con l’eco dei medesimi due moti fatali in diminuendo dopo il compimento dell’azione proditoria, eco ad esprimere la caduta della tensione che è stata necessaria per compiere una tale azione. Per chiarire ancora: le due sferzate fortissime relativi al colpo mortale sferrato e assestato pertanto vengono ripetute musicalmente – Sigfrido è già stato colpito –, quindi, sempre tenendo conto della corrispondenza tra suoni e vicenda, sono ripetute nella mente di Hagen con la medesima intensità vista la risonanza emozionale che hanno inevitabilmente prodotto nel suo cervello, poi in decrescendo quando cade la tensione psicofisica che ha accompagnato la realizzazione del delitto. Nella ripetizione in decrescendo gioca un ruolo – come sarà accennato anche a proposito della Scena III successiva e finale della Götterdämmerung relativa al destino di Hagen – anche la consapevolezza del tipo di azione, del tradimento che ne è il motore, dell’azione che Hagen sa essere infame, consapevolezza che è presente nella sua mente – nessuna gioia o trionfo emerge in Hagen per l’omicidio perpetrato, solo la maestà della morte domina. Perché Hagen sa che la sua azione è infame pur essendo ammantata di giustizia o vendetta per la fedeltà tradita da Sigfrido. Hagen è un personaggio psicologicamente molto rilevante – è per altro nientemeno colui che uccide Sigfrido su richiesta di Brunilde e mette in moto il destino di morte di tutti, dei compresi, ciò che non è cosa da poco – e rappresenta da un lato il guerriero fedele ai suoi capi, dall’altro fedele alle proprie origini, ad Alberico suo padre già possessore dell’anello appunto del Nibelungo, fedeltà diverse che stanno in opposizione l’una con l’altra. È appunto fedele a Brunilde e a Gunther, ma nel contempo al padre che rivuole l’anello, tuttavia i suoi pensieri in proposito sono tenuti segreti. Così è il cattivo consigliere di Gunther prendendo a copertura delle sue più vere intenzioni la vendetta non solo per Brunilde, ma anche per Gunther, ossia Hagen inganna sia Brunilde che Gunther, tradisce entrambi perché agisce per obbedienza al padre, per questo non vi è in lui nessuna gioia vera,  totale, per la sua azione. Quale guerriero germanico, inevitabilmente la sua Weltanschauung è impostata sui due principi inderogabili di fedeltà e onore, ciò cui la sua azione contravviene malgrado egli le voglia dare la parvenza della fedeltà a Brunilde e a Gunther. È ormai il crepuscolo inoltrato. Sigfrido, quando è colpito a morte, si gira immediatamente levando con entrambe le braccia lo scudo per spaccarlo su Hagen, ma gli vengono meno le forze, così non può portare a termine la sua intenzione e cade riverso sullo scudo a sua volta caduto alle sue spalle.

Cade sul dorso e morendo rievoca, mentre è sostenuto al suolo per le braccia da due guerrieri così che resta come seduto, l’immagine di Brunilde, sua più vera e amata donna e sposa dichiarandole per l’ultima volta il suo unico e imperituro amore. Quando si prepara il funerale di Sigfrido, è ormai scesa la notte fonda nella foresta lungo le acque del Reno, teatro del dramma e anzi della tragedia.

Il breve stupendo pezzo riguarda dunque la mente duplice di Hagen: espressa in parole fuorvianti dalle sue intenzioni e in intenzioni nascoste e per così dire manifestate con la potenza espressiva della sola musica. Quindi la musica muta e si instaura la maestosità e solennità della morte come nei momenti di adagio e di ripetizione dei colpi fatali con cui si è compiuto il destino dell’eroe.

Si inserisce poi la realtà del duplice viaggio di Sigfrido: sia il viaggio nel funerale concreto e visibile del corpo issato su una bara fatta di rami e fronde e portato a casa dai guerrieri nel più tetro chiaro di luna attraverso il bosco e i dirupi, mentre Hagen si tiene in disparte da tutti; sia il viaggio dello spirito di Sigfrido nell’alto dei cieli verso il Walhalla, il tetro palazzo sede di Wotan, capo degli Asi, gli dei guerrieri della germanicità, il quale accoglie i guerrieri morti da impavidi in combattimento. Ricordiamo per altro che Brunilde, cui Sigfrido rivolge il suo ultimo pensiero, non è solo la sua vera e amatissima donna e sposa, ma è anche una valchiria, colei che sceglie i guerrieri morti valorosamente sul campo per condurli al Walhalla o sala dei guerrieri morti, e che Sigfrido cade combattendo, di fatto alza lo scudo per affrontare Hagen ancorché ferito a morte. In altri termini e ribadendo: la musica diviene dapprima consona alla maestosa gravità della morte e quindi inizia il concreto triste funerale notturno che si occupa del trasporto del cadavere di Sigfrido alla reggia di Gunther. Interessante al proposito è il Libretto di Wagner. In esso il funerale di Sigfrido è connotato dall’aggettivo feierlich che viene tradotto in genere con solenne e che significa nella lingua tedesca tra l’altro grave, serio, non collegato etimologicamente al latino solemnis, da cui l’italiano solenne. In realtà secondo il Libretto non può esserci il senso della solennità del funerale come sta nell’italiano e nelle rappresentazioni: la concreta marcia funebre in mezzo ai boschi e ai dirupi, nella fortunosa salita alla cima della montagna, nelle nebbie che salgono fino a fare scomparire il corteo nel totale buio sarebbe difficilmente ipotizzabile in un’atmosfera solenne, collegata, nel termine italiano, alla maggiore o minore sontuosità, alla perfezione della performance – il corteo non marcia su una strada asfaltata né nella sala di un palazzo o attorno ad esso –, mentre nel contesto wagneriano il significato è, come testé accennato, più specificamente quello di grave – le fiaccole nella notte rischiarano il cammino rendendo la marcia funebre più che mai sinistra, ma non possono tentare di renderlo solenne pena la caduta nel risibile. La musica assume presto, dopo il tema della morte, la semantica del grandioso, del trionfale, inadatta al funerale, più adatta ad esprimere la liberazione dello spirito di Sigfrido dai gravami della materia, del sangue, in seguito al sopraggiungere della morte, trionfo adatto all’eventuale ascesa dello spirito di Sigfrido al Walhalla come in un’apoteosi del suo animo di eroe che sta recandosi da Wotan, il capo degli Asi o delle superne divinità guerriere. Sembrerebbe che nell’edizione definitiva del Crepuscolo degli dei Sigfrido non ascenda più al Walhalla come in redazioni precedenti, ma nella musica domina comunque l’atmosfera più drammatica e trionfale, non trionfo del corpo, ma dello spirito dunque. Sigfrido di fatto è un fulgido eroe: non ha tradito consapevolmente né Brunilde cui ha donato l'anello del Nibelungo come pegno del suo amore, che ha dimenticato a causa di un filtro magico che gli è stato somministrato, né Gunther. Ribadendo: la musica trionfale non si riferisce al funerale concreto di Sigfrido che avviene di notte in mezzo ai boschi montani e su suolo dissestato, bensì si riferisce più verosimilmente nel contesto al viaggio libero e senza ostacoli dello spirito dell’eroe nell’alto dei cieli, verso il Walhalla, mentre il finale della Scena Seconda, pacato e in decrescendo, si riferisce all’ingresso delle nebbie che cancellano il trionfo nell’ascesa che si è ormai compiuto.

Per ricapitolare ancora la scena secondo il significato della musica, ritorniamo alla Spazialità Dinamica (Mascialino 1997 e segg.) del pezzo musicale relativo, nella interpretazione di cui sopra, alla mente di Hagen. È come se si vedesse Hagen quale corpo fisico partecipare alla conversazione con Sigfrido e Gunther e nel contempo come se si vedesse l’immagine relativa ai pensieri di Hagen che si avvicinasse più volte di soppiatto a Sigfrido circondandolo con moti ora qui ora là – vedi i timpani – senza che questo se ne accorgesse sia perché l’immagine mentale è invisibile, sia perché Sigfrido è lontano dall’aver capito l’inganno di Hagen, sia perché il filtro che Hagen gli ha fatto bere gli fa ricordare il passato così che è venuto meno l’ancoraggio al presente, sia infine perché si tratta di Sigfrido, un eroe superiore a bassezze inerenti a tradimenti e simili, così in Wagner che era il primo e più assoluto ammiratore di questo personaggio senza macchia e senza paura della mitologia germanica sul quale si incentra la Tetralogia quasi come in un omaggio alla sua figura.

Venendo alla Scena III, qui non in analisi, ma cui solo si accenna per chiarire alcuni dettagli riguardanti il personaggio di Hagen, la musica cambia ancora secondo la trama che conduce alla caduta del regno dei Ghibicunghi con l’uccisione di Gunther da parte di Hagen, nonché all’incendio del Walhalla e al tramonto degli dei, con il ritorno dell’oro dei Nibelunghi alle figlie del Reno che sommergono Hagen nelle profondità del fiume in piena, come in una nemesi che non perdonasse, ciò di cui questo studio appunto non si occupa limitandosi a qualche cenno significativo. Hagen dunque alla vista delle figlie del Reno si spaventa in massimo grado e si libera delle armi gettandosi come folle, wahnsinnig, nelle acque del fiume e fin qui tutti i testi concordano. Si interpreta comunemente, in una piuttosto libera interpretazione della didascalia, che Hagen si getti nel fiume per recuperare l’anello magico che Brunilde ha tolto a Sigfrido e che ha indossato prima di gettarsi nella pira e bruciare assieme all’amato affinché le figlie del Reno lo possano recuperare dalle ceneri. Si potrebbe ipotizzare che Hagen si butti nel fiume per recuperare l’anello, il cui possesso darebbe il dominio su tutto il mondo e che viene  ripreso dal Reno in piena, come potrebbe dimostrare l’abbandono delle armi pesanti finalizzato nell’interpretazione a poter nuotare per prendere l'anello. Nelle interpretazioni in questione Hagen richiede anche esplicitamente l’anello alle figlie del Reno, ciò che giustifica la sua volontà di recuperare l'anello. Ma nel testo originale di Wagner, riportato nel Manacorda e ripreso nel Mioli, Hagen non interviene richiedendo l’anello, né viene esplicitato nella didascalia in nessun modo che si getti nel fiume per recuperare l’anello – per altro, volendo essere fedeli al Libretto, alla didascalia finale, le figlie del Reno giocano con l’anello dopo che hanno affondato Hagen, non prima, ossia a nemesi compiuta, quando hanno tirato Hagen giù verso le profondità delle acque. Certo, si può desumere sul piano implicito che Hagen sappia che Brunilde mette a disposizione delle figlie del Reno l’anello che sta nelle sue ceneri sommerse dal Reno, ma con questo non si spiega in ogni caso il terrore che sopraggiunge in Hagen alla loro vista – non alla vista del Reno che straripa –, il termine tedesco indica spavento nel senso di una paura intensificata. Questo rende possibile un’altra interpretazione, più profonda, che equipara la folle azione di Hagen in piena regola a una nemesi inconscia della sua anima guerriera per il tradimento, al tributo dovuto al suo onore di fedele guerriero che ha infangato con il suo tradimento e che vuole recuperare. Di fatto lo spavento di Hagen alla vista delle ondine non ha a che fare con un eventuale recupero dell’anello, né con una paura di morire o altro di simile, altrimenti con ogni probabilità non si butterebbe nelle acque, ma fuggirebbe e comunque non si lancerebbe contro di esse ben sapendo di non potercela fare. Il suo comportamento di fronte alla vista delle figlie del Reno deriva più verosimilmente dalla consapevolezza della loro vendetta nei suoi confronti, quasi esse siano personificazioni della nemesi, della germanica Wurd, la valchiria annunciatrice di morte al guerriero prescelto, così che Hagen va incontro al suo destino comunque da guerriero germanico quale è lanciandosi coraggiosamente nelle acque, senza più armi per combattere, come in una degradazione quale si conviene ai traditori, redimendosi in tal modo per il possibile. Così si hanno due viaggi opposti: se lo spirito di Sigfrido compie il suo viaggio verso l’alto, Hagen compie il suo viaggio gettandosi nelle profondità delle acque dove le figlie del Reno lo trascinano in basso, là dove ha fine la sua vita. Il Crepuscolo degli Dei termina quindi, in questa interpretazione, con il doppio suicidio di Brunilde, guerriera e valchiria, nel fuoco e di Hagen, altrettanto guerriero.

Segue adesso il sollevamento di alcuni possibili problemi esegetici. Per primo: se i due colpi si riferissero alla caduta in due tempi di Sigfrido in ginocchio e al suolo, come si spiegherebbero i timpani e l’aria del fagotto, nonché i contrabbassi che precedono i due colpi di musica così incisivi? Si potrebbero spiegare rispettivamente con un leggerissimo traballamento di Sigfrido colpito a morte, ma Sigfrido cade di colpo subito dopo essersi girato e avere alzato lo scudo, senza traballare, ciò che per altro non si addirebbe a un eroe tanto fulgido come lui. Per altro, in tale interpretazione, l’azione di Hagen resterebbe piuttosto insignificante, non espressa centralmente, mentre al contrario essa scatena la massima tragedia di cui Hagen, complice la gelosia delle due donne, è appunto l’artefice, al quale Wagner, secondo questo studio, dedica una delle più belle parti musicali della Tetralogia. Come si spiegherebbe l’intervento, tra un timpano e l’altro, dell’aria sinistra dei fagotti? Si potrebbe pensare a una personificata e allegorica presenza della morte che annuncia il suo ingresso sinistro, ma la morte sovrapposta al personaggio sarebbe una forzatura che nel contesto per altro banalizzerebbe l’opera stessa togliendo logica e significato all’opera stessa.

Inoltre: come si spiegherebbe alla fine del Crepuscolo degli Dei la paura di Hagen al cospetto delle figlie del Reno e nel contempo la sua volontà di recuperare l’anello combattendo contro di esse per riprenderlo in un sentimento di fedeltà al padre Alberico? Questi possibili dubbi esegetici si risolvono mettendo appunto in sintonia la semantica della musica e del Libretto relative alla mente di Hagen, considerata, qui, rilevante. Quanto alla fine di Hagen nelle acque del Reno, la sopra citata interpretazione che lo vede buttarsi nel fiume straripato per recuperare l’anello – ciò di cui non c’è parola nel Libretto a cura di Manacorda e di Mioli – non regge secondo l’interpretazione data in questo studio in quanto non spiega, come accennato, lo spavento di fronte alle figlie del Reno in unione al gettarsi nelle acque stesse dove stanno le figlie del Reno. Lo spavento di Hagen si spiega invece al meglio con la sua ossimorica quanto inconscia consapevolezza di fronte al compiersi del suo destino di morte in seguito alla invincibile e ormai sopraggiunta vendetta delle figlie del Reno, cui è stato rubato il tesoro da Alberico, nei confronti di entrambi, padre e soprattutto figlio, destino cui Hagen va incontro recuperando in pieno il suo onore di guerriero germanico: in luogo di fuggire, Hagen si butta a capofitto nella propria morte da coraggioso, proprio come i guerrieri della germanicità mitologica quando si presenta loro la Wurd, nella fattispecie adombrata nelle tre figlie del Reno. Hagen è un traditore sì, ma non è un vile e rientra in extremis con il suo gesto nell’etica del guerriero. Hagen è il guerriero germanico che alla vista delle figlie del Reno – che hanno nel contesto qualche tratto significativo della Wurd, la valchiria che annuncia al suo presentarsi al guerriero sul campo di battaglia che il suo destino di morte è ormai decretato, ossia che viene a reclamare la vita del guerriero ormai morituro – si lancia verso di esse, certo, senza armi, ma non per non affondare, armi che in realtà non gli competono più visto il suo tradimento, ossia affronta la morte nel fiume in spaventosa piena comunque da coraggioso, non da vile. Per quanto riguarda un mio giudizio personale, soggettivo: non credo davvero che Wagner dall’alto o dal profondo del suo podio sul germanesimo, sulle sue radici più antiche, abbia ridotto il gran finale del Crepuscolo degli Dei con Hagen che voglia l’anello per possedere il potere sul mondo, quel potere che ormai sa perduto per sempre nella catastrofe generale. In altri termini: il personaggio wagneriano sa che è ormai giunta la fine come annunciato dalla presenza delle tre figlie del Reno che costituiscono come la nemesi o, più germanicamente parlando, sono una speciale e metaforica epifania della citata Wurd, ciò dopo di cui il guerriero, per morire comunque con onore, si getta a capofitto, follemente verso la sua rovina, per trovare la morte che lo redimerà. Non solo Brunilde quindi si suicida gettandosi nella pira con l’anello al dito, anche Hagen non fugge, bensì capisce che ormai è finita per lui e si getta a capofitto nelle acque dove sa che lo aspetta la fine per l’unica redenzione ancora possibile. I due suicidi per così dire suicidi redimono il mondo dal male e anche gli dei scompaiono in una purificazione generale, salvo poi a ritornare sperando in un miglioramento – restando tuttavia sempre i medesimi Dei come quando si scatena il ragnarök nella mitologia dell’Edda dove l’istintualità più feroce simboleggiata dal lupo Fenrir che spezza le catene in cui era stato tenuto a bada e ha il sopravvento sull’ordine creato dagli dei, ma di questo appunto L’anello del Nibelungo non tratta. Il testo che mostra Hagen che reclama l’anello inserisce in ogni caso una banalità nel testo e nell’impianto wagneriano di questa opera monumentale, grandiosa, che, ripeto: secondo il mio giudizio, dovrei addirittura riconoscere come una caduta di Wagner dal livello di grandiosità che ha dato ai miti della cultura guerriera degli antichi germani. Per altro l’esaltazione di Wagner di tali miti e le sue professioni esplicite di antisemitismo – su cui qui non ci soffermiamo perché sarebbe come andare oltre l’assunto di questo breve studio – ne fanno per qualcuno, anzi per molti un razzista, ma questo, all’analisi, cade come un castello di carta e si rivela un luogo comune a buon mercato, così che si taccia assurdamente addirittura di antisemitismo chi apprezzi la musica di Wagner, magari anche perché Hitler amava tale musica – come la amano anche molti ebrei e si può dire tutta l’umanità capace di godere della musica complessa – e così via in un accumulo di insensatezze che non stanno da nessuna parte.

Se comunque volessimo tenere buona la fine con Hagen che reclama l’anello dalle figlie del Reno – abbiamo già accennato ai dettagli che sconfesserebbero questa versione –, Hagen non si getterà nelle acque per andare incontro al suo destino, bensì perché non capisce che non ce la può fare, addirittura disarmato, con le tre figlie del Reno, nel loro stesso habitat per così dire, per di più nella più spaventosa piena e muore nel tentativo di riprendere l’anello ormai in mano alle acque. In questa atmosfera di non comprensione delle cose come stanno, la figura di Hagen è quella di un piccolo individuo incapace di capire la situazione, ciò che fa precipitare a terra la visione del mondo espressa da Wagner secondo i miti germanici con il Leitmotiv della tragicità sostituendola con la stupidità, una fine dell’Anello del Nibelungo nella stupidità, ciò che indebolirebbe la finalità di redenzione dei due grandi protagonisti di tale fine, Brunilde e Hagen, togliendo ulteriore grandezza al gran finale: sia Brunilde, che si getta nelle fiamme restituendo nelle sue ceneri l’anello alle figlie del Reno, sia Hagen, che si getta nelle acque incontro al suo destino alla vista delle figlie del Reno, secondo l’analisi portata avanti in questo studio vanno incontro alla morte da coraggiosi guerrieri germanici, non da stupidi o da vili. Questo ovviamente secondo i punti di vista, ma nella Tetralogia e nella mitologia germanica si è, oggettivamente, di fronte a personaggi tragici, a eroi, gli dei germanici non hanno niente a che vedere come personalità ad esempio con gli dei greci e anche latini – anche se ci possono essere influssi tra le varie culture –, a ciascuno il suo, come necessariamente.

La comparazione semantica tra i due testi, uno privo della richiesta dell'anello da parte di Hagen r e l’altra con la sua richiesta dell’anello, è stata attuata onde esplicitare come la Spazialità Dinamica relativa a un paio di parole in più o in meno possa fare la differenza e cambiare sostanzialmente il significato di un’intera opera addirittura come la Tetralogia, ella personalità dei personaggi, soprattutto di quella di Hagen.

Per concludere questi appunti di semantica musicale, alcune note relative alla direzione di Klaus Tennstedt per la London Philharmonic Orchestra e per i Berliner Philharmoniker. La performance per l’orchestra londinese è quella, fra le due, emotivamente più consona al pezzo wagneriano. Con tale orchestra Tennstedt si sentiva molto verosimilmente libero di dirigere secondo la sua interpretazione della musica, dove, per sintetizzare, non prevale ovunque, ma solo ove necessario, l'atmosfera della solennità, come più sopra esposto. La performance con l’orchestra dei Berlinesi pone invece il peso proprio sulla solennità, così che i tempi sono più lenti. Ma, ribadendo appunto secondo questa interpretazione basata sulla corrispondenza della semantica del linguaggio del Libretto originale wagneriano con quella della musica, non vi è nessuna solennità nella premeditazione di un assassinio a tradimento di Sigfrido da parte di Hagen, né tanto meno nella sua concreta uccisione alla schiena, né in un corteo funebre notturno e fra scoscese asperità, ossia la musica che esprime la mente assassina del traditore non è solenne, né lo potrebbe essere, né la marcia funebre può avere un passo perfetto, se solenne, in un tale ambiente naturale – come nel contesto della citata semantica più propria dell’aggettivo feierlich utilizzato da Wagner e come nel salire delle nebbie ancora notturne che impediscono maggiormente il passo anche con tutte le fiaccole, eliminando qualsiasi solennità. La differenza tra le due esecuzioni di Tennstedt, più solenne quella berlinese, può essere, verosimilmente o anche solo forse, riconducibile non a Tennstedt primariamente, ma alle abitudini dei Berliner Philharmoniker secondo la direzione di von Karajan, magnificamente tecnica, ma finalizzata in generale a conferire la medesima solennità a tutti i compositori e a tutte le composizioni uniformandoli in certa misura sotto questo aspetto, abitudini alle quali, appunto forse, Tennstedt dovette o anche volle adeguarsi, questo come ipotesi a monte della differenza tra le due direzioni dello stesso Klaus Tennstedt a Londra e a Berlino, di cui si è preferita qui assolutamente quella della London Philharmonic Orchestra, più corrispondente come consuetudine in Tennstedt ad un’interpretazione più fedele e veritiera dell'emozionalità espressa nella musica dei suoi compositori.

Rita Mascialino

Bibliografia delle opere citate:

-Piero Mioli (a cura di), (1998) Wagner. Tutti i libretti d’opera. Roma RM: Newton & Compton editori: Voll. 1-2, Edizione integrale, traduzioni ritmiche di Angelo Zanardini: ‘Der Ring des Nibelungen’: Vol. 2, 98-355.

-R. Wagner, (1935) Il crepuscolo degli Dei. Firenze FI: Sansoni: riveduto nel testo, con versione ritmica a fronte, introduzione e commento a cura di Guido Manacorda: Testo fornito da Mirco Manuguerra.

Sitografia

-www.youtube.com/watch?v=wXh5JprKqiU (Klaus Tennstedt, London Philharmonic Orchestra)

-www.youtube.com/watch?v=oWwY2demTSY (Klaus Tennstedt, Berliner Philharmoniker)

-https://musicofilia.wordpress.com/2011/06/06/klaus-tennstedt/ (Tennstedt)

 

 

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