È almeno dal 1923, anno in cui entrò in vigore la Riforma Gentile, che la Scuola italiana non cambia, se si prescinde da qualche rimaneggiamento di una medesima struttura, di medesimi metodi. Si è dovuto attendere addirittura fino al 1997 per sostituire la vecchia denominazione dell’esame di quinta superiore, Esame di Maturità, introdotta da Gentile stesso, con la nuova più consona dicitura di Esame di Stato, sostituzione operata dal ministro Luigi Berlinguer. La vecchia denominazione era da lungo tempo obsoleta, almeno da quando si è scoperto che l’intelligenza si costruisce e non matura da sola a somiglianza di un albero che a scadenza dia frutti o del sesso che diventa procreativo ad una certa età. Una denominazione, quella relativa alla maturità, non priva di effetti negativi, la quale ha contribuito a rafforzare l’equivoco che si dovesse aspettare l’epoca della maturazione per ottenere lo sviluppo e la manifestazione dell’intelligenza come fattori indipendenti dagli interventi familiari e scolastici – la classificazione delle fasi dello sviluppo dalla nascita alla soglia dell’età adulta attuata da Piaget, assurda in molte sue affermazioni, ha contribuito non poco al consolidarsi dell’equivoco ed anzi si basa essa stessa su quell’equivoco. Pertanto ciò che di negativo poteva accadere prima di tale epoca della maturazione sancita dall’esame di quinta superiore veniva tollerato come un male inevitabile in attesa della maturazione che si sarebbe presentata in tempi migliori che sarebbero arrivati al momento giusto o magari tardivo, ma sempre a seguito di una forza maggiore, quella di uno sviluppo mentale inteso come maturazione del nespolo. La denominazione di Esame di Stato ha finalmente eliminato il concetto della maturazione dell’intelligenza e della personalità, l’illusione che queste potessero maturare per propria natura.

Certo non poteva bastare la cancellazione della vecchia denominazione per cambiare lo status quo basato sull’inutile attesa della maturazione e di fatto la Riforma Berlinguer ha prodotto anche altro. Ha aumentato le prove scritte a tre in luogo delle precedenti due decise dalla Riforma Sullo del 1969 rimasta in vigore per ben un trentennio, ed ha ripristinato l’interrogazione orale su tutte le discipline dell’ultimo anno, avvicinando per difetto l’Esame di Stato delle classi quinte all’esame di maturità liceale introdotto dal ministro Giovanni Gentile che prevedeva quattro prove scritte ed il colloquio orale non solo sull’ultimo anno, ma sull’intero triennio delle Superiori. Occorre tuttavia tenere presente che la Riforma Gentile della Scuola Superiore era stata pensata per una scuola di élite, per giovani provenienti da famiglie di livello culturale in genere già soddisfacente, quindi per giovani che a casa avevano genitori con cui esercitavano un linguaggio più o meno elevato, genitori che non di rado si occupavano di loro e che in ogni caso trasmettevano spontaneamente ai figli il proprio livello culturale. Tale Riforma, sicuramente ottima per gli scopi che voleva raggiungere, non era affatto predisposta per la formazione delle masse per la quale essa non era stata pensata.

I provvedimenti successivi, comprese le modifiche della Riforma Gelmini del vicino 2008, a prescindere dai loro pregi e difetti che non sono in trattazione in questo studio, mostrano all’ingrandimento un tratto basilare intrinseco alla classe politica italiana sia di destra che di sinistra e di centro, una classe politica tra le più conservative nel mondo occidentale democratico. Si tratta della tendenza da parte di coloro che conducono il Paese, appunto di coloro che detengono il potere politico, al mantenimento e ripristino del vecchio, al ritorno al passato che sembra apparire sempre migliore del presente stesso e, di conseguenza, di qualsiasi possibile futuro. Anzi, l’Italia ha tra le altre una sua vera e propria molto peculiare specialità, da sempre e quindi molto difficile a sradicarsi, quella di rendere vecchio il nuovo, ossia di adeguare il nuovo al vecchio così che in superficie vi sia l’innovazione ed in profondità domini e regni il vecchio che resta quello che regge le fila del discorso e le imposta. Come mai la stasi possa apparire migliore di qualsiasi cambiamento diretto ad avanzare, a lasciarsi alle spalle il vecchio, è presto detto: più comodo rappezzare quello che si trova già fatto in quanto fatto da altri piuttosto che affrontare la fatica, il lavoro richiesto dal cambiamento innovativo, meno fatica, meno lavoro, più tranquillità, meno traumi da cambiamento di casa, ossia di idee.

Le modifiche attuate con le Riforme dal 1923 ad oggi sono in genere un riverbero parziale di sistemi scolastici di altri Paesi su base tradizionale italiana, modifiche di non troppo largo respiro come l’andare avanti e indietro con il numero delle materie scritte e orali nell’Esame di Stato di cui il cenno sopra, ma niente di sostanziale in ogni caso. Innanzitutto esse mostrano, come accennato, la tendenza al ripristino della Riforma Gentile ovviamente con qualche rimaneggiamento inteso come ammodernamento.

Ora, appunto, non si può avanzare andando indietro, gli ossimori non sono praticabili tranne che come metafore dell’impossibilità, per cui, sul piano concreto, andando indietro si va indietro e non si va avanti.

Vediamo ora e prima di ulteriori specificazioni, quali possono essere i principi basilari affinché il sistema scolastico italiano possa avanzare senza cadere nell’ossimoro citato, nell’impossibilità di realizzazione.

Ciò che manca dunque in grande stile nel sistema scolastico italiano è la formazione logica attuata attraverso l’analisi del significato del linguaggio, delle figure dell’argomentazione logica, quella che, comprensiva della semantica, sta alla base della comprensione umana di qualsiasi evento a qualsiasi ambito esso appartenga, in primo luogo quello scientifico, e che porta con sé tra l’altro l’addestramento parallelo alla concentrazione, alla disciplina, al rigore, alla ricerca del riscontro con il reale – quando parlo di addestramento al ragionamento non parlo di analisi logica dal punto di vista grammaticale, ossia non solo di questo che è il livello elementare dell’addestramento logico sul piano linguistico, più esattamente un prelivello. Cito a proposito della logica e della semantica cui mi riferisco le parole di Enzo Melandri del 1964 che ritengo in linea di massima ancora e più che mai valide oggi nella cultura italiana in generale:

“In Italia i libri di logica sono tuttora una rarità. Anche quando, come pare assodato, vigeva una certa tradizione di tali studi, certamente ancora più tradizionale ancora era il disprezzo ricorrente nei loro confronti. Il System of Logic (1843) di John Stuart Mill è stato una specie di ‘deuteronomio’ della metodologia post-comtiana. Bene: ne esiste una traduzione tedesca (1849) e una francese (1866), non però una italiana (…) Ora, nella misura in cui le difficoltà di comunicazione dipendono dall’interpretare male i discorsi altrui e dall’esprimersi peggio in rimando, lo studio della logica si presenta come un indispensabile strumento di manutenzione per mantenere in efficienza i nostri canali di ricezione e trasmissione (…) La mancanza storica di una effettiva tradizione di studi logici si rispecchia nelle istituzioni scolastiche e nei metodi pedagogici. In Italia non è previsto un insegnamento della logica nelle scuole medie superiori. Specializzati in merito (…) La logica deve essere appresa così come si imparano, quando si imparano, le lingue straniere, la matematica o il gioco degli scacchi.” (Melandri 1964: VII, VIII, XII-XIII, IX)

Certo, è passato quasi mezzo secolo da quando Enzo Melandri ha denunciato la mancanza della preparazione dei docenti all’insegnamento della logica nella Scuola e quindi della preparazione dei discenti a livello logico, qualcosa si è trasformato in varie direzioni, ad esempio i computer hanno fatto ingresso nella Scuola ed il trattato di John Stuart Mill è stato tradotto anche in Italia nel 1968 (Ubaldini) e, si dice, più fedelmente nella versione del 1988 (UTET), ma la logica non ha fatto il suo ingresso nella Scuola quale disciplina a sé stante come sarebbe stato necessario secondo Melandri. E Melandri si riferiva non alla logica matematica, ma alla logica espressa a livello linguistico.

Così, le materie scolastiche in Italia sono presentate e studiate eminentemente per dare informazioni senz’altro indispensabili per prendere atto dell’esistenza di vari settori del sapere con cui i giovani devono venire in contatto prima di entrare nel mondo adulto del lavoro, della specializzazione professionale o per la continuazione degli studi, per poter scegliere ciò che più piace loro e può rendere gradita la vita. In linea di massima tuttavia e con eccezioni che confermano la regola esse non sono presentate per privilegiare i processi della comprensione incentrati sui percorsi logici e sul riscontro, diretto o indiretto, di quanto ipotizzato per la comprensione di una o l’altra realtà. Con questo non sto affatto dicendo che nella Scuola non ci si occupi dei processi cognitivi dei giovani, sto dicendo che non si privilegiano i processi della comprensione nel senso che essi cedono il passo all’accumulo delle informazioni, magari, talvolta ed anche non proprio di rado, non capite sufficientemente. Soprattutto a scuola non si cura con la dovuta scientificità l’analisi del significato del linguaggio che continua più che mai ad essere preda del più assurdo pragmatismo e di qualsiasi fallacia senza che nessuno faccia niente, ossia che continua ad essere luogo di pasticciamento per eccellenza, mentre non si può dimenticare che le idee, per diventare propriamente tali, passano attraverso la formulazione in linguaggio. Occorre pertanto che l’informazione non sia al primo posto, ma al secondo rispetto all’apprendimento del corretto ragionare e che il ragionamento corretto, a livello linguistico come accennato, sia studiato come disciplina a sé stante oltre che curato nelle altre discipline ovviamente. Certo, le direttive ministeriali parlano di sviluppo del pensiero logico, di studio del linguaggio e del suo significato e via dicendo, ma i metodi sono quelli adatti a realizzare, al massimo, una piccola analisi grammaticale, ossia morfologica e sintattica, eventualmente etimologica a stretto raggio che poco ha a che vedere con l’esercizio logico finalizzato ad apprendere i canoni dell’argomentazione corretta, a distinguere gli errori di ragionamento, ossia manca la consona descrizione e spiegazione dei percorsi logici e l’addestramento a comprendere al di là di quanto la propria soggettività propone, mancano la capacità e l’abitudine a falsificare le proprie ipotesi di comprensione e quelle degli altri per vedere se reggano o non reggano, manca la propensione a ricercare il riscontro con il reale. Quando questa propensione manchi e manchino pure le necessarie competenze per poterla realizzare, allora ha più spazio a disposizione la prepotenza del più violento, del più disonesto, del meno interessato al giusto e alla realtà delle cose, del più interessato a sopraffare e ingannare piuttosto che a capire.

Per altro oggi più di ieri il piano delle informazioni offerto dalla Scuola è presto superato dai risultati della ricerca scientifica e tecnica in ogni ambito che si susseguono particolarmente rapidi, per cui è ovvio come la Scuola oggi meno che mai non possa essere adeguata alla realtà quanto all’elargizione di informazioni. Si è sempre accusato e sempre si accusa la Scuola di essere arretrata rispetto alle richieste della realtà, ma tale colpevolizzazione si inserisce nell’equivoco attorno a ciò che deve consegnare la Scuola come obiettivo finale. Non è solo l’informazione che la Scuola deve consegnare ai discenti come obiettivo finale della formazione, perché a Scuola si va innanzitutto per essere formati, e la formazione riguarda altro rispetto all’informazione, anche se senz’altro per essere formati non si può per così dire materialmente prescindere dall’informazione e l’informazione è in aggiunta indispensabile componente della formazione. La formazione, va ribadito, riguarda lo sviluppo e la costruzione dell’intelligenza da un lato e della capacità di valutazione morale dei comportamenti dall’altro, valutazione attuata a sua volta attraverso il vaglio dell’intelligenza, della logica, la cui costruzione risulta centrale a qualsiasi processo di istruzione. A scuola dunque si deve andare in primo luogo per imparare a ragionare correttamente non solo attraverso l’apprendimento di base delle varie discipline, ma anche attraverso l’introduzione di una nuova disciplina a sé stante, come vedremo subito. Non si va dunque per imparare nozioni di per sé che, come è noto dalle conoscenze in fatto di funzionamento cerebrale, vengono dal cervello, per nostra fortuna, messe in obsolescenza non appena non siano più adoperate con quotidiana frequenza. In altri termini: le nozioni che si imparano a scuola sono indispensabili perché il discente metta il naso fuori casa, esplori un po’ l’ambiente, inteso in senso lato, in cui vive. Sono indispensabili perché formano il canovaccio attraverso il quale si impara a ragionare, sono come i mattoni con cui si costruisce la casa, ma non sono la casa, la struttura della casa, il progetto della casa, non sono il metodo per costruire la casa, non sono neanche la materia con cui sono fatti i mattoni e via dicendo, sono solo pezzi delle realtà utili alle diverse costruzioni. Per questi motivi l’informazione dunque, pur indispensabile, non può essere la finalità ultima della scuola. La conoscenza delle informazioni non può essere contrabbandata come preparazione dei giovani a comprendere il mondo e per altro le informazioni sono il prodotto di comprensioni della realtà attuate da altri, sono il prodotto relativamente finale di processi di comprensione i quali vanno incentivati attraverso la conoscenza e l’uso delle regole logiche esplicitate al massimo perché possano essere apprese con vantaggio – magari, se si dovesse proprio scegliere, per assurdo, fra una eccellenza o l’altra, meglio cento informazioni in meno e una capacità logica in più.

Certo, ogni insegnante italiano ha la sua preparazione in ambito logico e fa quanto può e anche di più per trasmettere la sua competenza ai giovani, ma in genere e comunque troppo spesso il suo duro lavoro in ambito logico viene disperso in un sistema scolastico che invece di potenziarlo lo diluisce nelle nozioni, un po’ come il vino in troppa acqua, quasi che la logica facesse male presa com’è, senza mescolanze con altre componenti. Così si lascia allo sforzo personale di singoli insegnanti ed allievi e al caso felice la possibilità di successo. In questo modo viene a mancare ai discenti una adeguata preparazione a comprendere, a distinguere un concetto valido da uno non valido con la conseguenza non lieve di credere di aver capito quando non si è capito, insomma di una diffusa possibilità di confondere i piani e di inficiare i processi della comprensione senza neanche accorgersene. È per altro diffusa la convinzione che, poiché i ragazzi della Scuola Secondaria di Secondo Grado sanno ormai parlare correntemente e anche con buona scelta di termini, il linguaggio sia qualcosa di acquisito nelle basi utili a sapersela cavare in ogni ambito, utili a comprendere un testo, un discorso dell’insegnante in qualsiasi area compresa la presenza di vocaboli tecnici di volta in volta facilmente apprendibili. Si dimentica che il linguaggio è un magazzino di parole finalizzato a rappresentare significati e che i significati sono effetto di processi di comprensione dell’esperienza, del mondo, dei mondi possibili, comprensione riuscita o meno, comprensione in progresso, comprensione su immancabili schemi logici. Si può quindi capire come la messa in primo piano dell’abilità della comprensione non possa prescindere da una adeguata conoscenza dei meccanismi sottostanti alla produzione linguistica, logica e semantica, conoscenza che non può essere sottovalutata né tanto meno improvvisata da parte dei discenti e neanche dei docenti.

Si rende necessario pertanto inserire un nuovo insegnamento, quello dell’analisi del significato del linguaggio basata sulla conoscenza delle regole della logica distinte da quelle della retorica a livello sufficientemente profondo sia per i corsi di formazione e di aggiornamento dei docenti, sia per gli allievi. Così potrà essere preparato un terreno atto a far comprendere più facilmente ed esattamente quanto si presenta come problema da comprendere, da risolvere. Come accennato, non esiste ambito per gli umani che non passi attraverso il filtro linguistico, da qui l’importanza essenziale dello studio del linguaggio come materia a sé stante oltre che in varia misura in tutte le discipline.

È vero che a scuola non si può spiegare tutto con la dovuta precisione e con il dovuto dettaglio – vita brevis, ars longa –, ma è anche certo che troppe informazioni vengono apprese senza essere capite, per cui c’è senz’altro qualcosa e più di qualcosa che non va ed è a questo che occorre porre rimedio in una Riforma dell’Istruzione del sistema scolastico italiano. Non è togliendo la compresenza, senz’altro negativa, di più maestri alle elementari o rimettendo tutte le materie della quinta all’Esame di Stato che si risolve qualcosa rispetto alla capacità di comprensione dei discenti. Occorre mettere una buona volta mano ai metodi di insegnamento, a nuovi testi scolastici consoni ai nuovi metodi, a nuovi corsi di formazione e aggiornamento dei docenti. Nessuna Riforma dell’Istruzione può essere attuata senza che vengano cambiati i metodi di insegnamento e senza che vengano preparati i nuovi testi finalizzati a dare capacità di comprensione e di associazione fra ambiti diversi e all’interno di uno stesso ambito, inoltre individuazione dei problemi e possibili ipotesi di soluzione. La crisi in cui giace la Scuola italiana è dovuta all’insufficienza metodologica, alla credenza che i giovani debbano sapere tante nozioni nel senso di sapere raccontare di che cosa si tratti, anche senza averne una sufficiente comprensione, senza sapere attuare le necessarie associazioni tra ambiti diversi e collegati o collegabili, ossia alla credenza che il sapere sia un sapere di nozioni e non in primo luogo la capacità di comprendere che va costruita e sviluppata.

Ribadendo ancora: la Scuola, si dice, non preparerebbe al lavoro, le conoscenze da essa fornite sarebbero arretrate rispetto a quanto la realtà richiede e certo tutto ciò è vero. Il fatto è che la Scuola non deve dare le ultime novità in fatto di competenze varie, perché non sarà mai possibile che essa le possa fornire quasi dovesse correre dietro alle conoscenze di ultimo grido, conoscenze che non solo sono infinite, ma che sarebbero e sono sempre superate da altre in tempi rapidissimi. Le nozioni sono gli strumenti nel cui ambito si fanno gli esercizi di comprensione, la Scuola deve quindi offrire le giuste palestre mentali con i giusti e aggiornati esercizi al cervello affinché sviluppi la capacità di ragionare. Una volta che il discente abbia imparato sufficientemente a ragionare nei vari ambiti disciplinari offerti dalla tavolozza scolastica, allora sarà facile o più facile per lui affrontare il nuovo che la realtà tutta sempre offre rispetto all’esercizio scolastico, sempre artificiale per quanto vicino sia al reale, rappresentato questo dal mondo del lavoro o dello studio avanzato, della ricerca. In caso contrario il giovane, che pure avrà superato l’Esame di Stato, sarà spesso o talvolta pieno di belle nozioni che presto svaniranno come le nevi al primo sole e, non avendo molto in ambito di abilità di comprensione, dovrà vivere la frustrazione derivata dal fatto di trovarsi troppo svantaggiato e discriminato rispetto ad altri che siano stati formati diversamente da lui e meglio di lui, dovrà vivere la frustrazione di vedere che quanto ha imparato a scuola non gli serve nella misura da lui attesa, dovrà vedere che lo Stato non ha provveduto a fornirgli le migliori basi per la migliore possibilità di sviluppo e lo ha lasciato invece a se stesso e, fattore della massima gravità, dovrà subire le già accennate conseguenze nefaste del fatto che quanto crede sia giusto nei suoi ragionamenti è errato alla falsificazione e verifica, fattore che non sarà ascrivibile ad una sua minore intelligenza, ma alla totale insufficienza del sistema scolastico rispetto alla formazione della capacità di comprensione e di ragionamento, insufficienza ascrivibile solo all’incuranza e alla leggerezza dei vari Governi o ad una loro implicita finalità di tenere il popolo in condizione di scarsa intelligenza, di scarso sviluppo.

Onde ovviare a tale insufficienza, occorre, per cominciare e detto a grandissime linee, quanto segue:

  1. ristrutturare l’ordinamento scolastico adeguandolo al maggiore livello informativo posseduto dai giovani rispetto ad un tempo;
  2. rinnovare la metodologia didattica, inserire nuove discipline e ristrutturare discipline già in uso;
  3. preparare i docenti con opportuni corsi di formazione per le nuove materie e di aggiornamento;
  4. produrre nuovi testi scolastici e anche dispense di Didattica Breve come fase propedeutica all’uso di testi più ampi e approfonditi e ad essi collegate.

Vediamo qualche dettaglio relativo alle linee generali testé citate per una Riforma dell’Istruzione.

Vedi anche:

Indice

Prefazione

Il rimaneggiamento e la riforma nell’Istruzione

Prospettive generali per una Riforma dell’Istruzione

Opere citate